Inaugurazione 21
maggio 2013 ore 19.00
in
Via Giulia 81/a, Roma
a cura di Pia
Candinas
Cos'è
un immagine e come può un immagine produrre un'altra immagine, reinventarsi e
sembrare ogni volta qualcosa di mai visto prima? Domanda decisiva per
l'artista, alla quale risponde basandosi
sulla sperimentazione del colore e riferendosi al tramonto e
all'arcobaleno. Esempio sono le sculture
Sunset Blocks e Stolen Rainbow, il video Trying
to find the Color of the Sunset
Through a Single Kiss e così anche ogni singolo quadro. Jamie Felton
scrive: "Sunset Blocks raffigura
quattro blocchi di gesso posizionati verticalmente su ripiani in vetro. Il
passaggio del sole è un momento che si verifica
tutti i giorni, scivolando attraverso una breve ora. Sto tentando di
sostenere i colori del tramonto attraverso questi blocchi di gesso.I colori del
tramonto sono fugaci, come il blu
oltremare riempie il cielo di notte e lascia la quiete nel buio. Di
conseguenza, non ci resta che dissezionare i colori del momento a cui che
abbiamo appena assistito".
Quando
nel 2012 Jamie Felton lasciò Roma decise di concentrarsi soprattutto su pittura
e colore. L'esperienza romana era servita per mettere a fuoco l'importanza del
colore e la necessità di elaborarlo, per poi rinnovarlo. Infatti, esempi come Pool Scene, There are Two Kinds of Tears e Sling
confermano questa scelta.
Pia Candinas
Intervista di Pia Candinas all’artista Jamie Felton
PC: Cosa
c'è di nuovo nel tuo lavoro
da
quando ha lasciato
Roma
l'anno
scorso?
JF: Ho pensato di
rinnovare la mia modalità creativa subito dopo
aver lasciato Roma. A Roma oscillavo costantemente fra la demolizione del
mio lavoro e la sua ricostruzione.
Le mie opere sono state sempre plasmate e trasformate in nuovi oggetti o nuovi dipinti. I
miei quattro dipinti
recenti poi, sono stati ancora più
meditati, approfonditi
e trattati in modo differente. La “demolizione” ha prodotto diversi
risultati. Con ”
The Towel that We Sank On”per
esempio, sono partita da una grande pezza di tela a cui, stratificandola al centro, ho applicato diversi strati di vernice rimuovendo,alla fine,
il pezzo di tela ruvida. Quello che rimaneva era il sotto strato, perfettamente tagliato fuori dal quadro che lasciava riconoscere la
traccia della tela . Poi
il pezzo di tela è diventato un pezzo separato . La mia intenzione è dunque che si
leggano tutti
le fasi del processo creativo per mostrare tutte le tappe, anche se alla fine ne rimane una sola.
PC: Che cosa hai mantenuto costante nel tuo lavoro?
JF: I
miei quadri hanno sempre trasmesso le mie
emozioni, insieme alla memoria del passato e del presente messi
insieme. Quello che è rimasto costante nel mio lavoro è anche la casualità, lo sperimentare e
giocare con il materiale.
PC: Hai
poi continuato a lavorare con
il video e la scultura?
JF: Quando ho
lasciato Roma, ho capito che volevo solo concentrarmi sulla pittura. Ma credo
che facendo quel video, a Roma, ho capito
quanto sia importante per me il colore, e quanto voglio riflettere a
lungo prima di usarlo nei miei quadri
attuali. Anche le mie sculture diventano
al pari degli studi o dei
disegni, solo fasi preparatorie per i miei quadri.
PC: Il tuo lavoro sembra
richiedere uno stato d'animo aperto agli impulsi spontanei, che vengono poi realizzati
con un qualche tipo di struttura
improvvisata. Puoi
illustrare come arrivi alla forma e
alla fase conclusiva dei tuoi quadri?
JF: Sì, ci sono
forze contrastanti, alcune intime e altre che rivelano il mio scetticismo; la
mente riluttante fa fatica a collocare
il proprio subconscio in un campo visivo. Il colore mi appare come un valore provvisorio, la qualità
provvisoria per un processo privo di
regole, mentre stesure di colore forte consentono di mettere a nudo le
emozioni. Le proprietà fisiche del colore mi permettono di giocare poi con le dinamiche della luce. In "There
are two kinds of Tears", un quadro eseguito con il poliuretano e sabbia, i
blu scoppiano e sembrano appesi e sospesi
accanto ad una forza di movimento verso il basso. La lacrima blu
schizzata viene compattata in un elemento grafico flottante che suggerisce
empaticamente la quiete. E’ come
sperimentare la tensione tra due tipi di
lacrime.
PC: Il tuo
lavoro
coinvolge la memoria?
JF: Il lavoro va oltre i limiti della
memoria, entra nelle spiagge deserte del passato immemorabile. Jean Wahl
afferma, "Una formazione di schiuma delle siepi che tengo dentro di
me." Si può mai ricordare la sensazione del sole scintillante nel calore
di un luglio di anni fa, o il paesaggio della vostra casa natia o l'odore della
soffitta dell’infanzia? I miei
quadri domandano qualcosa che non pretende una risposta precisa. I
gesti rimangono instabili, il mio intento è di essere insieme onesta, fluida e
naturale.
PC: Quali
sono i tuoi artisti di riferimento?
JF: Ultimamente
mi sono ritrovata nella poesia e nei
dipinti di Etel Adnan. Lei mi fa capire quanto sia importante la lingua
che è veramente in ogni forma d'arte,
che si tratti di scrittura o di pittura.
Lei ha la capacità di trasformare la realtà in metafora, la natura in
una nuova percezione ed esperienza. Nei dipinti la sua acuminata tavolozza per
ogni segno assume una forza indipendente, e ogni tonalità crea scintille immerse nella luce della costa occidentale.
Quando guardo i suoi quadri, mi danno calore, come se fossi li presente nel suo paesaggio. I suoi dipinti
consolidano il fatto che il colore ha
la capacità di conservare uno strano
potere.
PC:
Mi
ricordo
che
hai fatto
una
lista di desideri, incisa su una lastra di ottone, come un'opera d'arte. Qual era lo scopo di quel pezzo?
JF: Faccio un
elenco di obiettivi e desideri ogni anno, o quando mi trovo in un posto nuovo.
Fare un elenco di desideri sembra
orientarmi e darmi una direzione. A
volte, prima di dipingere faccio esercizi di scrittura che sono un tipo di
disegni solo per me. La cosa principale è
il desiderio che i miei quadri
posseggano empatia, così come il modo in cui ho usato il linguaggio in quel
pezzo. Voglio che i quadri espongano quella quantità di sentimento senza che io
dica una sola parola.
PC: L’antichità di Roma ha rappresentato uno stimolo
per il tuo lavoro?
JF: Sì, essere in presenza della ”Storia” era un travolgente motivo di
ispirazione.
In un primo
momento mi sentivo come se fossi in un film, e ai confini tra realtà e teatro. Un' esempio è il modo
in cui il tramonto colpiva la città facendola brillare d’oro del tutto in modo innaturale. Lo sfondo del Colosseo aggiungeva in ogni situazione qualcosa di
drammatico. La città ha anche una storia d'amore disinvolto. Spesso ho sentito il bisogno di
prendermi delle pause per andare a Villa Borghese, solo per scattare foto di persone che si baciano vicino alla fontana.
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