Se leggendo non siamo all’interno di
un testo epifanico è soltanto perché non c’è rivelazione della realtà – sebbene
essa sia tratteggiata nei suoi aspetti più insignificanti e privi di senso, facciano
cioè parte di tutto ciò che ci accade d’insignificante in una giornata, che
all’improvviso si accenda rivelandoci aspetti sorprendenti, come indicava Joyce
– ma solo il suo riconoscimento o il riconoscersi in essa. Un ritrovarsi
nell’umile che diventa sensuale tramite una percezione pittorica, diremmo, uno
sguardo esperto nel disporre i fiori nel vaso e nel saperne godere. E Francesco
Osti, in “Viale Orobie” Edizioni
L’Arca Felice, 2011, (prefazione di Mario Fresa, disegni di Michele Mazzanti) non
si trattiene nemmeno dall’adulterarla la realtà, dal renderla artificiale,
prestandole ciò che non ha tramite analogie visuali del tutto immaginarie. Così
le piccole celle divengono “abbandonate alla lievitazione” e il viso di una
donna si trasforma in un “volto di cartone pitturato”. L’autonomia dal reale
non potrebbe essere più sbandierata, perché altra, mentre ne cogliamo soltanto
gli aspetti già interpretati, atto creativo per eccellenza, così come il
ricorso alla pittura e alla rappresentazione in genere testimoniano, dove
appunto l’artificiale è il culturale. Ecco dunque che il ricorso
all’interpretazione del dato reale diventa un salvagente in grado di salvare
dall’insignificanza di una realtà altrimenti inadeguata e insufficiente per
colui che la abita, poiché priva del soggetto.
Le lasse inizianti sempre con alcuni
puntini sospensivi rammentano che esse appartengono a un flusso riflessivo in
cui ogni cosa viene tolta dal nulla, liberata dall’anonimato, e viene dotata di
uno spazio di risonanza a tratti misterico, in cui si è in presenza di un
enigma da sciogliere, una sapienza intravista o immaginata a cui accedere. Osti
appunta l’intera sua attenzione sull’aspetto estetico, vera via di conoscenza. Colui
che ne percorre le vie è capace di ordinare e collocare, di discernere e di attribuire
significato (liberando così l’estetica da chi la vuole via alternativa alla
conoscenza raggiunta per via razionale).
Attenzione agli aspetti estetici della
realtà in grado di produrre poesia (“Figure continueranno a sonnecchiare nella
saletta ristoro ingessate al loro sogno”). Ed è una poesia dove la visionarietà
è sottile come un filo di seta e resistente quanto un tessuto. Ciò che sembra
dimesso e flebile ha in realtà forza:
sulle pagine le analogie e le osmosi hanno duttilità e precisione per penetrare
in materie differenti e per modificarne la sostanza: quella del soggetto
percepiente.
…la
banda del forno è l’arte di ferro e tela, quando esce finisce la cottura ed il
tamburo la riavvia; sul momento è talmente calda che le mie ossa arroventano e
i miei nervi legano con l’orzo e l’avena…
Siamo di fronte a una dichiarata alchimia
in cui è divenuto finalmente congruente ciò che ci si ostina a voler tenere, in
altri luoghi, separato: ragione e passione, reale e mentale, vero e falso.
…l’idea
si è ancorata, è diventata il punto fermo della lavorazione: sì, l’ho bevuto
alla fine quell’alchemico intruglio di fiamma e oro, malto e assenza di rima…
Rosa Pierno
Francesco Osti (1976). Suoi testi sono apparsi su
alcune riviste e antologie. Ha
pubblicato le raccolte di poesie Errore
di sintassi, Lietocolle (2005); Itinerari,
Stampa2009, 2010.
La
pregevole collana “Coincidenze”, diretta da Mario Fresa viene proposta in
esemplari numerati a mano, con litografia.
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