Delizioso stile e prosa irresistibile, soprattutto quando raggiunge punte sarcastiche e demolitorie, senza mai usare parole che abbiano connotazioni negative, e in cui il bersaglio è raggiunto tramite figure retoriche piegate a una funzione tagliente e corrosiva. Valerio Magrelli nella sua postfazione istituisce paralleli letterari con Valery, Joyce, Balzac, Laforgue, costruendo cioè una rete di relazioni all’interno della quale i testi di Debussy possono essere collocati (dall’uso di un fantomatico alter ego al carattere improvvisato). Inoltre, in questa raccolta di articoli usciti su giornali e riviste, i quali spesso fanno riferimenti ad avvenimenti musicali, concerti, spettacoli teatrali, si parla di musica senza mai usare un termine appartenente all’analisi musicale. Il fenomeno musicale che per Debussy è fenomeno nel quale “i suoni hanno un senso esatto nella loro eccezione sonora“ senza, in altri termini, “esigere mai qualcosa di diverso da ciò che vi è racchiuso” è visto, dunque, nelle sue relazioni culturali, storiche e sociali, ma è quasi un costeggiare un continente sul quale non si può mettere piede. Il senso finale di queste prose coincide con l’azione iniziale: l’ascolto, dal quale, infatti, non si può prescindere, l’ascolto al quale tutto ritorna e dal quale nulla può allontanarsi. Ne sia un esempio il riferimento alla Nona Sinfonia di Beethoven, contro coloro che l’hanno sommersa di prosa nello sforzo di illustrarne il significato aneddotico: “Ammesso che in questa sinfonia vi sia qualcosa di misterioso, ammesso che lo si possa chiarire, tutto ciò sarebbe davvero utile?”. E di rincalzo, affermando che Beethoven non era affatto letterario: “Un piccolo quaderno in cui sono annotati più di duecento differenti aspetti dell’idea conduttrice del finale di questa sinfonia, testimonia della sua ostinata ricerca e della speculazione puramente musicale che la guidava”.
In questi testi numerosissime sono le posizione occasionate dagli eventi musicali che danno modo a Debussy di esprimere il proprio punto di vista, il quale, d’altronde, si può ritrovare anche fra le componenti che hanno avuto un ruolo ideativo nelle sue composizioni, ad esempio l’interesse per i modi musicali dell’estremo oriente e l’interesse per il teatro giavanese condiviso con Artuad in cui: “la seduzione imperiosa di quel linguaggio senza parole che è la Pantomima raggiunge quasi l’assoluto, poiché procede per atti e non per formule. La miseria del nostro teatro è dipesa dalla volontà di limitarlo ai soli elementi intellegibili”. Si pensi all’interesse per il rapporto con la natura espressa in occasione della direzione della Sinfonia Pastorale di Beethoven di Weingartner, ove Debussy precisa: “Quanto più profonda l’espressione della bellezza di un paesaggio in certe pagine del vecchio maestro, solo perché non c’è imitazione diretta, ma trasposizione sentimentale di ciò che è ‘invisibile’ nella natura! Si rende forse mistero di una foresta misurando l’altezza degli alberi? Non è piuttosto la sua insondabile profondità a scatenare l’immaginazione?”. D’altronde, è il medesimo atteggiamento che ritroviamo in questi brevi quadri critici, i quali divaricano la distanza tra opera e interpretazione, tra opera e spiegazione, ove il verbale non può che indirizzare, ma mai risolvere il portato del testo musicale. Né ultima è la sua critica nei confronti di un’arte popolare realizzata con nessun mezzo, la quale ripropone spettacoli inadeguati: “l’arte, assolutamente inutile alla folla, non è neanche l’espressione di un’élite, spesso più stupida della folla stessa; essa è una bellezza potenziale che esplode al momento opportuno, con una forza fatale e segreta”. E con la medesima fermezza, vi invitiamo alla lettura dei testi, i quali contengono numerosissime fulminanti definizioni e prese di posizioni che si collocano sul doppio registro della critica musicale e dell’opera letteraria.
Rosa Pierno
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