Presentiamo quattro testi del poeta inglese Bill Dodd, con traduzioni a fronte dell’autore stesso.
Ricordando il detto di Simonide di Ceo (VI -V secolo a.C.), per cui “La pittura è una poesia muta, e la poesia una pittura parlante”, riassunto poi nel celebre “ut pictura poesis” di Orazio che ha influenzato tutta la storia delle arti sorelle, possiamo affermare che le poesie qui proposte sono a tutti gli effetti delle pitture parlanti. Il titolo stesso, Voicings (sillabando, dando voce), della raccolta da cui sono tratte, ci avverte che il suo dettato si colloca a mezza via, quasi in sospensione, fra percezione e linguaggio, natura e tecnica, su quel confine sottile che separandoli li collega. Dodd appartiene alla grande tradizione inglese di poesia della natura che, a partire da William Wordsworth, continua a dare splendidi frutti fino ai nostri giorni. Del maestro condivide il linguaggio colloquiale, la poetica del “fanciullino” (“Alla mostra di Matisse”), il frequente ricorso all’apostrofe e “l’emozione rivissuta in tranquillità”. Ma al poeta del XXI secolo tocca necessariamente di essere meno assertivo e onnisciente, di adottare una prospettiva più mobile e raso terra. Chi leggerà questi versi si accorgerà presto comunque della sua maestria nel cogliere i dettagli e montarli in sequenze articolate di analessi e prolessi, primi piani e campi lunghi, per pervenire infine a una composizione di luogo e a un distillato di atmosfera del tutto singolari, concretissimi, pienamente vissuti e mai libreschi.
Non è però che la poesia di Dodd sia povera di pensiero, tutt’altro: è che all’idea egli ci arriva al momento giusto, attraverso l’esplorazione di un vissuto che, nel mentre si concretizza, la lascia gradualmente trasparire. In ciò le dipinture, sia di quadri che di paesaggi, che abbiamo qui trascelto appaiono molto diverse da quelle di altri poeti della natura come Robert Frost, Edward Thomas, Charles Simic o Wislawa Szymborska, tanto per fare dei nomi, che con pochi tocchi traggono l’allegoria dalla figura. In Dodd, invece, il nitore del segno solo raramente cede allo sfumato del mood o alla sottolineatura aforistica. Per convincersene basta paragonare la poesia che qui presentiamo su “La Domestica di Vermeer”, con quella più famosa di Wisława Szymborska: “Finché quella donna del Rijksmuseum/ nel silenzio dipinto e in raccoglimento/ giorno dopo giorno versa/ il latte dalla brocca nella scodella,/ il Mondo non merita/ la fine del mondo.” Ma si veda peraltro come in “Resti romani a Bibbiena” egli riesce a cogliere la fragilità dell’esserci nella minuta manipolazione della creta (metafora del poiein), gettando uno scandaglio al di là dei millenni, nel futuro passato, in un orizzonte progettuale che ancora dura, ma come rallentando, in una moviola del ricordo o una radiazione cosmica di fondo, fra natura e cultura. E come, in “A Serranova”, con tocco delicato ma fermo, egli riesca a rendere l’intimo, progressivo trasmutare degli eventi in ricordi e stati d’animo, con pause misurate e variazione di accenti, col tono sommesso di una voce che invita il lettore ad assaporare lo straordinario gusto del quotidiano.
Giuseppe Martella
Bill Dodd è nato a Lancaster, G.B. Ha insegnato letteratura inglese per lunghi anni nelle università di Bologna e Siena (Arezzo). Ha pubblicato due volumi di poesie: Sightings (2015) e Voicings (2018
At the Matisse Exhibition
Go on, step over the magic line
defending the masterpiece.
Spark the alarm!
Mum and Matisse will forgive you.
Only a toddler can enter into a picture.
Go on, drag your plump palms
across the oil we’d all love to stroke.
Come back,
show us your hands full of rainbows.
Alla mostra di Matisse
Vai, oltrepassa la linea magica
che difende il capolavoro.
Fa’ scattare l’allarme!
Mamma e Matisse ti perdoneranno.
Solo un bambino può entrare in un quadro.
Vai, trascina i palmi cicciuti
sopra l’olio che tutti vorremmo accarezzare.
Torna indietro,
mostraci le mani piene di arcobaleni
Vermeer’s Kitchen Maid
From a jug that never empties
to a bowl that never fills
a white thread of milk
makes its static descent.
Turn away your eyes
then turn them back:
the jug is empty, the bowl now full.
Listen: a door bangs behind
the maid in the yellow bodice.
She has swept buns from the table
into the ultramarine of her apron
and carried them to nowhere.
Turn away and back again.
See her chapped returning hands
lift and balance the bowl.
Behind her on the scullery wall
a nail lengthens its shadow.
Stay with her here
as she halts with the bowl
and is caught in the painter’s eye.
What will it take, he wonders now
to make another truce with time
tough as that thread of falling milk?
La domestica di Vermeer
Verso una scodella che mai si riempie
da una brocca che non si svuota mai
un filo bianco di latte
compie la sua statica discesa
basta per un attimo
distogliere gli occhi
poi farli ritornarci
la brocca è vuota
la scodella ora piena
ascolta
senti chiudere una porta
dietro alla domestica
dal corsetto di cuoio giallo
ha spazzato i panini
dal tavolo
nell’oltremarino
del grembiule
li ha portati
con quella pagnotta nel cestino
alla stanza della colazione
voltati di nuovo
ritorna con lo sguardo
coglierai le mani screpolate
della donna di nuovo qui
mentre alzano, bilanciano la scodella
dietro alle sue spalle
sulla parete del freddo retrocucina
s’insinuano macchie di polvere
dove minuti fa il sole
ne aveva fatte piazza pulita
ora rimani con lei
mentre sta lì immobile
scodella in mano
diventa l’occhio del pittore
chiediti che cosa ci vorrà
per trovare un’altra sospensione
del tempo ferrea
come quel filo bianco
di latte che cade
Roman remains, Bibbiena
Per Sita e John
Before they were baked
the clay forms of terracotta
were laid out to dry in the air.
The surroundings were rustic.
Piglets, hens, slaves’ children
tiptoed over the giving tiles,
each imprint they left
clear as the oakleaf
on a soldier’s medal.
Only it was a print of peace
a recorded stepping out
from pen, sty, hovel
from sleep into morning coolness
of a sky promising freedom.
Now
in this tiny museum
in an absolute of gleaming
cabinets and classifications
their steps continue.
Those unique mornings
initialled by limbs
that kept their small owners
poised just above the earth
are with us still after
nearly two thousand years.
And though we can’t see
or hear or smell these mornings
we know they were fresh as grass
before the meridian.
Of that we can be sure:
the clay under those toes and nails
gave, before it held
and to do so had to be moist
and vulnerable to life.
Resti romani, Bibbiena
Per Sita e John
Prima di essere infornate
le lastre d’argilla venivano stese
all’aperto ad asciugare.
I dintorni erano rustici.
Maialini, galline, figli di schiavi
passavano in punta di piedi
sopra piastrelle arrendevoli,
ogni impronta chiara
come la foglia di quercia
sulla medaglia d’un soldato.
Solo che era un’impronta di pace:
registrava l’uscire da un recinto,
porcile, tugurio
dal sonno verso il fresco mattutino
di un cielo che prometteva libertà.
Ora
in questo museo silenzioso
nell’assoluto di teche luccicanti
e tabulazioni
insistono i loro passi.
Quelle mattine uniche
siglate da membra
che reggevano i corpicini
appena sopra la terra,
quasi due millenni più tardi
sono ancora qui con noi.
E sebbene non possiamo vedere
né udire né odorare quelle mattine,
sappiamo ch’erano fresche
come l’erba prima del mezzogiorno.
Di ciò possiamo essere sicuri:
l’argilla sotto quelle dita, quelle unghie,
cedeva, prima di rassodarsi
e per farlo doveva essere umida
e vulnerabile alla vita.
At Serranova
For Marina and Roberto
The air, the grey dusk air, is shredding.
Dark red earth gives under our soles
releasing soft voices
to join the wind’s moan
among ghosts of olive trees.
The black dog points
a vague clump of grass,
points and pants and waits
till the grass morphs into a cat
that has picked its way after us
to where Marina in the deep
darkness of the carob tree
is gathering span-long
chocolate-coloured pods.
Like a nightjar the low sky
settles its belly along the earth.
They merge
each greyer now than the other.
Some fields away there are other dogs,
yaps, shrieks, howls.
They leave no impression
on this great black male
as he gathers knowledge
of herbs, weeds, roots,
each track of nocturnal animals,
the pissmarks of rivals.
But these are details.
What counts, what looms
is the early lack of light
the dragging away of light into space
that leaves eyesight bedraggled
and groping.
So that now our voices
learn their subdued place,
to bow to this spreading silence
as we catch the flakes
of the evening and hear them fall.
We will take late-gathered
olives, and almonds of this earth
home from the twilight
to the sharper light of north
to taste later and remember
in weeks to come
how far south we have been,
with what good friends.
A Serranova
Per Marina e Roberto
L’aria, l’aria grigia del crepuscolo
si sta sgretolando.
La terra rosso scuro cede sotto le nostre suole,
rilasciando voci felpate
che confluiscono nel gemito del vento
tra i fantasmi degli olivi.
Il cane nero punta
un vago ciuffo d’erba.
Punta, ansima, aspetta
che l’erba si tramuti nel gatto
che ci ha tallonati
fin qui, dove Marina nel profondo
buio del carrubo
raccoglie baccelli color cioccolato
lunghi un palmo.
Il basso cielo come un succiacapre
adagia la pancia lungo il suolo.
Si fondono, l’uno ora
più grigio dell’altro.
A distanza di qualche campo,
altri cani, abbai, strilli, ululati.
Non impressionano
il maschione nero
che raccoglie notizie
su ogni erba, erbaccia, radice,
ogni traccia di animali notturni,
ogni segno della piscia di rivali.
Ma questi sono dettagli.
Ciò che conta, che incombe,
è la carenza prematura di luce,
il trascinarsi della luce verso lo spazio
che lascia la vista scapigliata
e brancolante.
Sicché ora le nostre voci
si rintanano in un luogo sottomesso,
s’inchinano al silenzio che si spande
mentre cogliamo i fiocchi
della sera, sentendoli cadere.
Da questo imbrunire
portiamo a casa tarde olive
e mandorle di questa terra
verso la luce più aguzza del nord
per gustarle dopo e ricordare
nei mesi a venire
quanto lontani nel sud siamo stati,
e con quali cari amici.
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