Centoquattro le opere, fra dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, realizzate fra il 1956-2018 che segnano le tappe di un percorso artistico magistrale, quelle esposte presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 16/10/2018 al 06/01/2019. Una mostra di tale levatura da rimanere esemplare. Impressiva e fortemente sorprendente, non solo per la maestria raggiunta in tutte le tecniche utilizzate (pastello, inchiostro di china, olio, acquarello, incisione), quanto per la capacità di formulare l’immagine. Si ha un bel dire che è in tralice, sempre presente, la ricerca all’interno della tradizione, ma l’immagine che ne risulta è foriera dell’inveduto.
Colpisce la maniera nella quale, nel percorso analitico e minuzioso del tratto, il lavoro sul motivo che costruisce la figura prende il sopravvento e il referente o l’idea iniziale si trasforma nella necessità di articolare il dettaglio, la trama, il passaggio della luce sulla struttura segnica. È un tour de force che cerca di sostituire alla riproduzione oggettiva, sia essa cielo, costellazione, onda, tralcio di foglie, il proprio gesto, caratterizzato dall’ossessione come simulacro dell’impossibile. Seguendo, in siffatto modo, le linee d’intensità delle forze sprigionatesi o colte nel modello o nell’idea, si ritrova, al di là del motivo, la potenza d’apparizione del soggetto, sebbene sia un appalesarsi del tutto particolare. È proprio nell’inversione di questa tendenza, dalla rappresentazione di un concetto alle sue line d’intensità, che il tracciato resta costantemente parziale e l’effetto della composizione arretra, non interviene che dopo, nella fase di ritorno dello sguardo alla complessità dell’opera.
Per meglio esplicitare, lo sguardo coglie la struttura e si perde nel dettaglio della stessa, ma questa è una zona indistinta, dove, appunto, l’indefinito si palesa. Non è, dunque, l’idea originaria della struttura del disegno, è una zona che potrebbe appartenere a qualsiasi oggetto o concetto. I puntini, le tacche, i tratteggi sono la struttura stessa delle cose e di conseguenza dell’io. Col che è abbattuta la retorica dell’interiorità che vuole che il disegno esprima la singolarità o personalità dell’artista e si affaccia la consapevolezza che il soggetto è una trama, la quale si definisce in relazione a ciò che la penna o la matita tracciano.
La preponderanza, la sproporzione esistente tra la modalità di realizzare l’idea e l’idea stessa, rende aperta la composizione, la emancipa dalla significazione. Gli effetti della trama infinitamente puntinata, oppure delle losanghe di luce di cui non si riesce a individuare il punto ove si intensifica il tono, costituiscono una collezione di oggetti nell’oggetto, ove i primi sono infiniti. Come dire i punti sono infiniti più del paesaggio, dell’orizzonte, delle foglie e, pertanto, vi è un’estensione all’interno delle cose stesse che è priva di limiti. Pensieri si ramificano in tutti i sensi e distolgono dall’idea che pure ha ordito la composizione. Perché in ogni caso vi è da sottolineare che per Giulia Napoleone il varco tra idea e realizzazione resta necessario, è la soglia attraverso la quale s’intercetta il passaggio tra finito e infinito. Lo studio della composizione dell’immagine nulla lascia al caso, l’artista ferreamente costruisce l’ossatura del visibile.
La luce stessa non pare incidente, non sembra rifrangersi sulle cose né provenirne, ma sorgere dalla superficie del foglio. Affiora dalle strutture, le quali sembrano macchine produttrici di lucori e brillamenti: punti di luce nel nero, asole in cui la luce è più assenza che presenza. La figura, la maggior parte delle volte appena assonante con oggetti concreti, appare irrilevante rispetto alla traiettoria delle linee, le quali disegnano un effetto di ripetizione ritmata che disputa con la sostanza. Esse, infatti, non ricostituiscono una materialità, ma la sua dissolvenza. La figura, in tale formulazione, è quasi un effetto mnemonico.
Il riferimento al mondo naturale è per Giulia Napoleone indeponibile, e le sue immagini registrano il tentativo di organizzare il mondo, ma anche di svellerne le rigide rotaie, aprendosi a congetture e a relazioni mostranti l’esistenza di logiche diverse. Quest’ultime possono riferirsi a scale differenti, gerarchie non congrue, sfasamenti, glissamenti dal regno minerale a quello biologico, rinvenimenti di lacune nelle materie, tessiture dove si sarebbe detto esservi spazio vuoto. Non indica un allontanarsi dalla realtà, ma un rendere complessa la sua figurazione. Quello che si vede, non è quello che si pensa, non è quello che si sente. E l’artista pencola sul suo filo come un ragno nel vuoto. Se il mondo dell’esperienza non è sparito, esso si è moltiplicato, si è stratificato come un poliedro inimmaginabile per numero di lati. Il sé è pura perdita senza quel filo, quella traccia liminare, quella portentosa sequela di puntini.
Rosa Pierno
Durante l’apertura della mostra sono previsti tre laboratori dell’artista, organizzati dalla dr. Nunzia Fatone, nei quali Giulia Napoleone illustra tre tecniche (acquarello, pastello e inchiostro di china) in relazione a tre suoi libri d’artista nei giorni 27 ottobre, 25 novembre, 16 dicembre
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