Masse di parole in movimento
all’interno di brevi zone, o limitati circuiti che dall’uno all’altro propagano
il ritmo ondulatorio di piccole - non
sempre avvertibili - maree, motivi
ripetuti e ripetute cadenze e pause, varianti entro perimetri fin quando l superficie si altera, anche se di
poco, per poi tornare apparentemente intatta, con una sua severità, materia
verbale a cui il personaggio sembra doversi o volersi arrendere. Perché ecco il
basilare carattere dei tre racconti che formano il volume di Rosa Pierno – “Il
ragazzo”, “Il corpo di lei”, “Fruttiera con limoni” -: la resa, talora
fittizia, del personaggio all’impasto materico come insegna certa pittura
novecentesca, la più innovatrice e rivoluzionaria. L’intento figurale forse
mero pretesto per la distribuzione del colore sulla tavola o sulla tela.
Ma almeno nel primo racconto l’intento
arriva a identificarsi con la distribuzione, personaggio e paesaggio non di
rado si scambiano i ruoli, il ragazzo (coscienza, filtro) spia e controlla e
assorbe, la natura tutt’altro che passiva calàmita l’occhio, invade la rètina,
sveglia nel ragazzo il potere fantastico, emula il “paesaggio interiore”.
L’attività dello sguardo procede a blocchi, diremmo strofe, e gli intervalli
hanno il sapore del silenzio come per un riposo mentale, indicano un’assenza
temporanea, sono spazi vuoti ma non inutili, il loro bianco (alla maniera del
lontano Cézanne) elemento integrante del testo.
Nel successivo racconto essi invece
frantumano la pagina, accompagnando o mimando la frantumazione del “corpo di
lei”, della donna il cui il ritorno l’uomo
aspetta. Vi si giocano due partite, entrambe a distanza. Quella vitale
su una scacchiera immaginaria muove qua e là “i pezzi” (segmenti) del corpo
femminile per ricostruirne l’insieme; il ricordo scompone e ricompone, separa e
unisce; un dettaglio empie la fantasia, lo raggiungono altri dettagli; minimi
indizi o interezza, bisogna cavarne un significato. Ancora l’attività dello
sguardo, volto però soprattutto all’interno: “È con gli sguardi che costruisce
ponti rampanti, che si aggetta fino al corpo di quella donna, che vi si lega
con più nodi”. La seconda partita, a scacchi, risulta legata alla prima “con
più nodi”: appunto perché va avanti per corrispondenza, “Gli sarebbe (…) potuto
capitare di non sapere se stava aspettando lei o la prossima mossa. (…)
L’attesa, raddoppiandosi, avrebbe figliato mille attese, rifrangendo l’inizio,
facendoglielo perdere di vista. Alfine non avrebbe più saputo cosa attendere.
Allora avrebbe avuto il presente intero”. I parallelismi, l’intersecarsi di
impegni immediati (la sfida agli scacchi, la realtà intorno) e di memorie
portate a recitare nell’oggi, il rimando dalle piastre del pavimento alle
caselle della scacchiera mischiano le due attese, le due sfide: “Gioca a
scacchi per pensare a lei. Vuole ridurla a un denominatore comune, attraverso
confronti di situazioni analoghe, verifiche su spostamenti”; “Tutte le
possibili combinazioni che lui può generare, spostandola sulla scacchiera,
facendola parlare, ricordandosela”. La prosa frantumata supera la
frantumazione; i vuoti si mutano in “ponti rampanti”, da ponte a ponte la
materia verbale ripristina l’altalena fra passato e presente per piegare il
futuro.
Ma la partita più grossa, più aspra, exacting, è giocata in “Fruttiera con
limoni”. Qui lo sguardo non basta, deve diventare azione concreta traducendosi
in superficie di colore, in spessore di materia , in vertigine di ritagli dal
vero, e tutto come sfida della parola a consegnare pittura, mentre la coscienza
centrale (l’artista) suggerisce l’uso della terza o prima persona indifferentemente
e le strofe impongono il salto dei vuoti simili alle “ampie chiazze di bianco”
nel cielo che si squarcia “sotto il peso dell’osservazione”. Il giallo domina i
blocchi, le strofe, ma ci sono anche azzurri violenti, e il rosso fuoco, e il
verde. Il programma si rivela audace. “Il limone diviene intoccabile. Forzato
della sua natura, tolto al reale, reso parola o forma impropria”; “Niente a cui
appigliarsi, da cui partire, per dar luogo al movimento lineare del pensiero”.
Così Rosa Pierno stende la parola imitando il pittore, assediandolo,
ripetendone i gesti, rapinandogli lo sguardo, ritagliando limoni. Il giallo si trasferisce nella parola
scritta, dilaga blocco dopo blocco, luci e penombre e altri colori lo attenuano
o incendiano. “Elidere la profondità, ridurre tutto a superficie, una
superficie che fosse apparizione da poco ridestata alla coscienza, su cui
galleggiasse il giallo, un giallo che si desse come limone”: è il compito della
scrittura che vuole “darsi “ come pittura, quindi superficie, senza radici,
senza profondità, solo rettangoli di tela, “zolla disseccata”, un “selciato” al
quale l’artista aggiunge “bagliori d’oro”.
Le strofe, nel volume, fanno pensare a
costellazioni d’isolotti, arcipelaghi, anche perché il ribattere sugli stessi
temi ha la forza di un prolungamento della voce, voce marina, quella dell’onda
ch e inesausta torna ad assalire la terraferma.
Angela Giannitrapani
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