Presentiamo la parte iniziale
dell’editoriale di Flavio Ermini per il n.85 di Anterem, in cui i testi
presenti, sia letterari sia filosofici,
si addensano tutti intorno a una riflessione cogente sulla poesia,
stringendola quasi come in un assedio, affinché essa mostri il frutto
succulento che può celare per quelli che appunto la considerino una modalità di
esistere, di vivere, una pratica che accerchia l’essere, tentandolo.
Il
dire non è soltanto un viaggio dentro noi stessi.
Ciò che a noi interessa lo custodisce l’irriducibile al sé.
Silvano Martini
Ciò che a noi interessa lo custodisce l’irriducibile al sé.
Silvano Martini
Trattiamo
la letteratura con troppa confidenza. Va accostato con grande cautela il testo,
consapevoli che l’attenzione al dire – e al disvelamento che gli è proprio – ci
può trasformare. Il testo è ascolto, esperienza, pura possibilità.
Nell’atto del dire, siamo noi a essere parlati. Ed è radicale il controllo che su di noi il testo esercita. Precisa Martin Buber: «Il nostro “essere parlati” è il nostro esserci».
Nell’atto del dire, siamo noi a essere parlati. Ed è radicale il controllo che su di noi il testo esercita. Precisa Martin Buber: «Il nostro “essere parlati” è il nostro esserci».
Quel
che importa, nell’atto del dire, non è la successione dei passi, non è il metodo, ma è il lasciarsi incontrare per via dal testo. È
l’essenziale accadere della parola che va favorito. L’esposizione al dialogo –
nella consapevolezza che noi siamo un colloquio – impone una disponibilità
ininterrotta.
A questo proposito, avviare un “romantico” processo di discesa in sé – riversandovi le fragili opinioni dell’io – non è più sufficiente. Diventa inevitabile spostare la riflessione sull’essere.
A questo proposito, avviare un “romantico” processo di discesa in sé – riversandovi le fragili opinioni dell’io – non è più sufficiente. Diventa inevitabile spostare la riflessione sull’essere.
Abbiamo
il compito di sottrarre all’io l’indagine poetica del nostro sguardo. Siamo
chiamati ad assumerci la responsabilità di mantenere la parola in cammino, e di
consentire in tal modo la piena apertura dell’essere, così com’è: nella sua
evidenza, senza alterazioni né mediazioni.
Scrive Jean Rostand: «Dobbiamo stimare invidiabile soltanto chi, essendo riuscito a esentarsi dal proprio io, sa accettare senza ribellione gli allarmi e gli spodestamenti che l’esistenza ci impone».
Scrive Jean Rostand: «Dobbiamo stimare invidiabile soltanto chi, essendo riuscito a esentarsi dal proprio io, sa accettare senza ribellione gli allarmi e gli spodestamenti che l’esistenza ci impone».
Mantenere
la parola in cammino significa renderla irriducibile al sé. Significa scavare
nella propria lingua una lingua straniera e averne cura nel proprio dire.
Flavio Ermini
In questo numero sono
presenti per la poesia: Giacomo Bergamini, Yves Bonnefoy, Davide Campi, Paul
Celan, E.M.Cioran, Bruno Conte, Jacques Derrida, Marco Furia, 'Abd al-Rahmân Jâmî, Gustave
Roud, Tiziano Salari.
E per la saggistica: François Bruzzo,
Roberto Diodato, Flavio Ermini, Federico Ferrari, Evelyne Grossman, Mauro
Maldonato, Francesco Tomatis
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