L’addentrarsi nella lettura delle poesie inedite di Giorgio Bonacini comporta un’attenzione che è segno di una spiccata sonorità dei versi, soprattutto di un’accurata scansione ritmica, di un cesello raffinato delle cesure, di frequenti spazi risonanti di vuoto, definibili come “un suon volante”, “un vivo fiato”, avrebbe detto il settecentesco poeta francese Voiture.
Né si tratta di una poesia che abbia un filosofico o scientifico fondo, ma con mezzi esclusivamente propri ne persegue esiti paralleli. Anzi, reclama uno specifico modo, che è quello di un pensiero poetico che si muove agevolmente fra le osservazioni nate a diretto contatto con la natura e alcuni risultati scientifici o filosofici. Ci troviamo interamente in un ambito non metafisico, di poesia tenacemente aderente al piano percettivo e dove persino le idee sono meno appartenenti al mentale e più tirate verso un’oggettivazione linguistica (ove, appunto, la metafora appare essere il tramite elaborativo del dato percettivo, anziché il versante dell’idea).
L’andamento sinuoso che si tesse e si discioglie come sotto l’effetto di una brezza, o di un riflesso abbagliante corrisponde a una scrittura di modulazioni e legami; a un tracciato sconnesso, ma, pur con fatica, praticabile; a una sequenzialità di esplosioni di cui non si prevedono né i fremiti, né le direzioni e che traccia autonoma, insostituibile esperienza.
Il tempo di uno sguardo ci appartiene
non possiamo esserne certi ma dobbiamo
Il sole che ansima e soffia
e tratteggia le nuvole e scioglie e scombina
una parte di sé in cui la luce
ballando gorgoglia, non è come un fuoco
che recita al vento e si ingrossa –
né il cielo è un effetto
di ciò che guardando
si prende o si perde.
Appartiene alla luce quel misto di buio
a cui diamo valore e certezza
all’oscuro –
un assillo di immagini
e suoni, di pioggia costretta in un solo modello
di numeri e gocce
di pietre lasciate a osservare una forma
che esiste e non smette
Ma questo è ben poco se vedi
un profilo di nebbia che affonda
che imprime all’azzurro
un destino di nubi, un sipario schiumoso
in cui stare e scrutare
e in un limbo sbagliato
provare l’assenza, decidere ancora che nulla
si vede, ma deve vibrare.
Qui ci avviciniamo alla sua pioggia
non ricordi che è l’inizio di una frase
Barare col sole, disperdere polvere
immagini, cose – gettarle
in un buco se illumina o piove
e condurre la sfida alla fonte di un verso
che induce i lamenti a rimuovere
sotto, a commuovere dentro
un colore inguardabile, sporco, un odore abusivo
che tutto contorce e distoglie.
Ma il suo stato migliore
accarezza l’idea che ci sia, dove il cielo
di colpo si piega ingiallito
una sola metafora, un’aria più arguta
o preistoria chiamata
a condurre uno sguardo
che spoglia ogni cosa togliendola
via da ogni cosa che affonda.
E’ questo il momento in cui pensi
all’inizio di un altro rumore –
un mondo che accusa
che umilia, che pensa coi denti
e assapora le stelle, la stessa euforia
che lo spazio riceve da un semplice
addio, a quel volto spaccato
e ai sorrisi inondati, sfregiati.
Presente sulle antologie:
Ante Rem, a cura di Flavio Ermini (con una premessa di Maria Corti), Verona, Anterem Edizioni, 1998; Verso l’inizio, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri (con una premessa di Edoardo Sanguineti), Verona, Anterem Edizioni, 2000; Trent’anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni (1971-2000), a cura di Alberto Bertoni, Bologna, Book, 2005.
Libri di poesia pubblicati:
Non distruggete l’immondizia, Correggio, Edizioni Gabiot, 1976; Teneri acerbi, con una nota critica di Giuliano Gramigna, Verona, Anterem Edizioni, 1988 (Premio Lorenzo Montano, 2a edizione); L’edificio deserto, con una nota critica di Niva Lorenzini, Bologna, Edizioni di Parol, 1990; Sotto la luna (con Giovanni Infelìse), Bologna, Book Editore, 1991; Il limite, con una nota critica di Lucio Vetri, Bologna, Book Editore, 1993; Falle farfalle (con disegni di Alberta Pellacani), Verona, Anterem Edizioni, 1998; Quattro metafore ingenue, Lecce, Manni Editore, 2005.
2 commenti:
adoro la musicalità di questa poesia....
sarei curiosa di ascoltare il poeta leggere una sua poesia sinceramente. mi piacciono quelle pause perfette tra i versi....
Gentile Anila,
la ringrazio tantissimo per l'apprezzamento. I suoni, le pause, i silenzi sono parte sostanziale del senso diffuso di una scrittura poetica, o almeno della mia, nelle mie intenzioni.
Un caro saluto.
Giorgio Bonacini
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