Se mai fosse possibile definire barocchi i disegni di questi ultimi anni di Giulia Napoleone, non lo si sussurrerebbe, ma lo si esclamerebbe investiti da un’incontenibile sorpresa, poiché rispetto alla rarefazione, alle trame larghe a sufficienza per mostrare ampi occhielli di vuoto, alla prevalenza del bianco baluginare della carta tra gli arati segni tracciati dal pennino, questi fogli letteralmente grondano di segni: essi s’infittiscono fino al punto da sovrapporsi più volte, mimano profondità che non sono solo quelle analogiche del firmamento, siderali, ma sono quelle di un’interiorità che afferma, che ritorna sullo stesso punto per ribadire, per portare alla medesima evidenza dell’esistente ciò che è soltanto immaginato. E grondano anche di caratteristiche, di attributi, quasi che la materia più che sostanza fosse un’infinita lista di qualificazioni. Mai essenza!
E contemporaneamente da questo firmamento che fa impallidire l’ideazione grafica dei vortici di Cartesio, da questo vuoto che pullula di materia e di luci – e non si sa se i grani bianchi siano lucori o porzioni di vuoto impenetrabile alla materia – che si sa essere indistinto e infinito nella percezione comune, ecco apparire una figura geometrica, quell’ellisse di kepleriana memoria, che è proiezione totalmente umana, rigorosa e precisa, pure, nel regno dell’indistinto.
E’ una serie di disegni che declina, a partire da una forma geometrica che fa da filtro, da assunto, da ipotesi, tutte le possibilità insite, appunto, nella forma individuata. Sarà allora un ovale che racchiude una diversa granularità materica o sarà una semplice linea tracciata tra due materie uguali o un ovale che contiene una florescenza di bianchi lumeggianti immersi in un intorno buio che va sempre più affievolendosi ai bordi del foglio o una membrana che impedisce il passaggio di alcuni corpuscoli luminescenti ad un’altra zona che solo un’ombra indica come avente una diversa volumetria.
Se invece l’assunto è una linea bianca continua e frastagliata, che ricorda vagamente un frattale – poiché non siamo mai troppo lontani dalle immagini che nei secoli hanno accompagnato le definizioni scientifiche – essa si ripercuote nella materia indistinta come farebbe un’onda, come un’eco, come una faglia, una frattura che crei diversità dove altrimenti si percepirebbe solo continuità, oppure come un grido o una folata di vento che si stia ripercuotendo anche sulla nostra pelle.
Se, altrimenti, il postulato afferma solo una diversa granularità materica o una diversa consistenza allora il disegno mostrerà porzioni triangolari di innesto, di intersezione, ove è sempre la geometria la componente mentale che si tenta di applicare anche a una materia così difficile da quantificare. Difficilmente in questi disegni le forme riposano su un piano. Esistono le ombre sempre, tutto proietta ombre e, dunque, volumi emergono a dispetto della superficie!
Sono questi i miracoli che sgorgano dai disegni di Giulia Napoleone. E abbiamo esclamato barocco perché sono, i disegni di Giulia, vere e proprie macchine della meraviglia che ci consentono di guardare la materia a qualsiasi scala e di vedervi affiorare sempre l’inconosciuto, il non immaginato.
Con Giulia non siamo mai in un porto sicuro, non si può guardare una sua opera dalla balaustra dell’ultima terra, non ci sono colonne d’Ercole che sia possibile non oltrepassare. L’esplorazione è tale da capovolgere persino le abitudinarie dimensioni spaziali della nostra percezione. E’ così che la serie “Altro Inverno” è una cartografia dell’esteso e dell’inesteso contemporaneamente. L’analogia vi funziona in maniera particolarmente ambigua: sembra traghettare verso l’altra sponda, in realtà rovescia il punto di vista, sfonda il velo, sostituisce la scala di riferimento. Tutto ciò mostra che l’operazione analogica e metaforica non è che uno stato di passaggio, una porta tra diversi gradi di conoscenza, un’esperienza volta soprattutto a raggiungere la consapevolezza delle modalità conoscitive che mettiamo in atto, dei loro limiti, errori, ma anche delle loro possibilità. La rappresentazione è una modalità di apprendimento, un processo, una pratica, una tecnica, ma è anche mezzo per liberarsi dalla fissità dei concetti e dei saperi acquisiti. Porsi dinanzi alla rappresentazione del firmamento o delle ombre è ricreare la propria visione, letteralmente inventarsela.
Vi è anche un altro aspetto che emerge dall’osservazione di queste straordinarie opere ed è quella relativa alla metafora del viaggio, dell’osservazione inesausta e persistente, ossessiva e tenace che viene condotta su larga e diversificata scala: le grandi linee ondulate del deserto della Siria o le stellate ramificazione dei palmizi o le vie del cielo stellato. A dimostrazione che non importa quale materia venga sottoposta ad analisi per tentarne la rappresentazione, per ricercare le regole soggiacenti atte a una sua restituzione. Quello che resterà sul setaccio sarà, comunque, puro oro.
Rosa Pierno
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