PITTURA
VASI E BOTTIGLIE
Spinge la tavolozza ai
limiti del visibile, smorza la distanza tra i toni, chiude le imposte, brucia
l'immagine nella retina. Finché i colori si distinguono sperimenta il punto
limite rispetto al quale la luce può ancora ammantare le cose, scivolare e
tornire gli oggetti.
Sembra bruciare oggetti
e fondale con la fiamma ossidrica. Più che vasi paiono tronchi fossili, boccali
ossidati, reperti di un'era arcaica.
Certi gialli acidi
rimpolpano la materia e servono a distanziare i vaghi toni da ceramica
giapponese che tendono, invece, ad astenersi dall'esistere e danno allo sguardo
la preminenza sul tatto, arretrando fino
a dove la mente si sperde.
Per contro si può, con
abbrunato pigmento carico di spenta polvere, caricare di materia oggetti
consunti e ridargli un nuovo nome.
Ciò che è denominato
natura morta, viva non è mai stata. Conchiglie, pipe, vasellame non producono
nemmeno ombra. Pensiero non si rintana in questi vuoti gusci.
Dovrebbero essere
volumi, poligoni, cilindri, le bottiglie e i vasi assemblati come soldatini in
sghemba parata. Invece sono trattati come superfici: si afflosciano l'uno
sull'altro, producono risibili ombre, tentano di stare in prima fila coi soli
toni più squillanti!
In un continuo
dichiarato scambio tra pieni e vuoti, tra volumi e superfici, non è di poco
peso l'artificio che ivi gioca la sua mano. È un dichiarare che sarebbe
convenzione considerare la bottiglia un cilindro e il piano una superficie.
Colore s'incarica di mostrare lo scambio, di ripristinare il dubbio. Nulla
sarebbe certo sotto il sole, nel quadro!
Tant'è che alcuni vasi e
brocche si addensano come le pieghe di una tenda, mostrando superfici
ripiegate. Anzi, in tale ispessimento di materia, nemmeno più si distingue ciò
che è in primo piano e ciò che sta dietro: bricchi e portacandele si
stampigliano l'uno sull'altro e l'ombra vi è elargita come enigma da decifrare.
Acquerellata sagoma di
ceramico bricco diviso in due zone dalla luce e dall'ombra, o smangiucchiato da
un’abbacinante fonte luminosa, dichiara la propria inconsistenza come oggetto
appartenente al reale e apre a considerazione di cognitiva specie.
Un solo colore ravviva
l'intera serie di poco distinguibili trapassi di tono e denuncia un'estraneità
rispetto al materiale ceramico, implicando una diversità non riducibile alla
sostanza.
Se allampanati cilindri
svettanti sulla mensola interrompono il flusso del lucore, triangolari
bottiglie si smaterializzano tramite colore, scandendo spaziale ritmo.
Oblunghi recipienti
potrebbero essere stati messi lì per indicare che contengono vuoto, che
circondano con la loro sottilissima lamina un concavo ristagno d'aria.
Addossati, se ne ristanno come una dimostrazione che sfida l'intuizione.
Che vivida presenza la
palla bicolore nell'assemblaggio di ramati bricchi e scatole di latta! L'ombra,
demandata a fingere con il suo obliquo menare profondità spaziale, cede il
posto ad affermazione mendace che coagula senso con la sola presenza.
Certi toni da spolvero,
da tenue ubriacatura, da seta impalpabile, menano lo sguardo per l'aia, non
mentendo sulla reale portata dell'apparenza. Apparecchiano un piano degno di
ogni sottilissima disquisizione.
Potresti pensare un
concetto che avesse tali gradienti di luminescenza, tali inafferrabili
barbigli, che fosse in grado di tenere ferma la mente su baluginanti contiguità e
incommensurabili distanze?
Ce n'è abbastanza per
riconoscere che fu pittore paradossale, poco incline a credere a quel che
vedeva.
Rosa Pierno
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