Le
periodizzazioni con cui si segmenta artificiosamente il passato sono la bestia
nera che trasversalmente attraversa gli specifici domini del sapere. Le Goff ne
fa l’oggetto di studio nel suo saggio Il tempo continuo della storia, Laterza,
2014. In questione è la supposta necessità di effettuare una periodizzazione
all’interno di un continuo, anch’esso supposto. Le Goff afferma che la periodizzazione è necessaria, che
essa, è legata alla necessità di scandire una svolta, un cambiamento che assuma
un particolare valore per lo storico. Periodizzare la storia, quindi, “è un
atto complesso, carico allo stesso tempo di soggettività e di sforzi volti a
produrre un risultato che possa essere accettato da quante più persone è
possibile”. La storia se non è un sapere scientifico è almeno un sapere
razionale.
Lo storico
francese descrive i due principali modelli di periodizzazione ebraico-cristiana
(nell’Antico testamento e in Sant’Agostino): entrambi s’ispirano ai temi
religiosi e ai cicli della natura, a cui seguono, per grandi linee, quelli di
Iacopo da Varazze e di Voltaire, ma, naturalmente, Le Goff approfondisce il problema in relazione al
Medioevo, termine utilizzato per la prima volta da Petrarca per designare la
“posizione intermedia fra un’antichità immaginaria e una modernità immaginata”,
incarnante valori nuovi: l’Uomo con le sue virtù. Tuttavia, è stato necessario
attendere il XIX secolo e il romanticismo affinché il Medioevo perdesse la sua
connotazione negativa (feudalità, tempi bui, ecc.) e, con la scuola delle Annales, “assumesse i tratti di un’epoca creatrice”. Ciò per
ribadire che la “periodizzazione della storia non è mai un atto neutro o
innocente” e che attraverso di essa si esprime un giudizio di valore e,
pertanto, essendo opera dell’uomo, con l’uomo evolve e cambia. Ciò, naturalmente, evidenzia “la fragilità di
quel particolare strumento del sapere umano”: così come anche dell’approccio
tentato dal marxismo (vedente il passaggio dall’Antichità al Medioevo come
passaggio dalla schiavitù al feudalesimo).
Le Goff
propone una propria definizione temporale
che apre all’esistenza di un lungo Medioevo e all’inaccettabilità
dell’idea di Rinascimento come periodo specifico, ove però, assieme alla
visione, cambia anche la scatola degli strumenti dello storico, secondo la
famosa affermazione di Deleuze, vale a dire “la trasformazione del genere storico da racconto ed esempio morale a specifica branca del sapere”. Se “si eccettua quella di un tempo ciclico,
che non ha dato luogo ad alcuna teoria 'oggettiva' della storia,
qualsiasi concezione del tempo è suscettibile di essere inquadrata in termini
razionali e spiegata”: la verità dello storico “passa ormai dall’amministrazione
della prova”, ma è anche necessario che essa entri nell’insegnamento (per la
Francia, ad esempio, prima del XVII secolo non si è assistito al tentativo di
attivare un insegnamento della storia, mentre in Germania la storia si è
diffusa nelle Università già dal 1550 e in Inghilterra fin dal 1622).
La questione
del rapporto tra Medioevo e Rinascimento, è stato affrontato dagli storici in
modi estremamente differenti. Michelet
nel 1833, “tesse un elogio del Medioevo, descrivendolo come un periodo
luminoso e creativo”, ma la sua tessitura è ancora un prodotto della sua
immaginazione e lascerà ben presto il posto a una nuova passione: il
Rinascimento, a cui l’opera di Burckhardt darà nuova linfa (La civiltà del Rinascimento in Italia,
1860) divenendo modello e fonte per la storia culturale europea. A quest’ultimo
sono seguiti gli studi di P.O. Kristeller, E. Garin, E. Panofsky, J. Delumeau e
numerosi altri storici, tutti passati in rassegna da Le Goff, il quale si sofferma,
alfine, sulla propria posizione: il Rinascimento non rappresenta un periodo
particolare, ma è l’ultima rinascita di un lungo Medioevo.
La
considerazione dello storico francese riguarda la coesistenza e talvolta lo
scontro “fra un lungo Medioevo, che si estende fino al Cinquecento, e un
Rinascimento precoce, che si afferma fin dall’inizio del Quattrocento” il che
gli consente di scolpire la seguente conclusione: “Le rotture sono rare. Il
modello consueto è semmai rappresentato da mutamenti più o meno lunghi, più o
meno profondi, da cambiamenti di direzione, da rinascite interne a periodi più
o meno ampi”. Sennonché, insiste Le Goff, “La periodizzazione si giustifica in
quanto fa della storia una scienza, senza dubbio non una scienza esatta, ma una
scienza sociale che si fonda su basi oggettive, chiamate fonti”. Anche nella
lunga durata definita da Braudel vi è modo di collocare periodi, ottenendo “una
combinazione fra continuità e discontinuità”. Senza confondere la lunga durata
e la globalizzazione, la periodizzazione si conferma come un campo d’indagine e
di riflessione di fondamentale importanza per gli storici contemporanei, vero e
proprio mare magnum di
sperimentazioni.
Rosa Pierno