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mercoledì 29 giugno 2011

Gio Ferri “Quattro poesie inedite”

Immergersi nella lettura delle poesie di Gio Ferri vuol dire ritrovarsi in una stanza piena di riflessi sonori e di echi colorati, di parole che trascorrono come reti a strascico tirandosi dietro come preda altre parole, albatros, à rebours, ivre: sciami di libri classici che ci attraverso con un turbinio di fantasmi e di immagini, i quali divengono, pur se oggetti mentali, carnali, vivide presenze. Non certo di una compresenza indifferenziata si tratta, ma del frutto di una severa scelta, come annuncia la poesia stessa  “Il giorno del dio”, che vale per una dichiarazione di poetica dell’autore, del suo modo  di vedere la poesia. Giò Ferri prosegue da anni, con i suoi splendidi quattro libri “L’assassinio del poeta”, editi tutti da Anterem, il suo percorso all’interno delle forme metriche tradizionali e di quelle messe a punto dall’avanguardia, mai deponendo una saggia, ironica levità, sigillo di un inevitabile modo, anche metapoetico, di accostarsi  a tali forme e di installarsi all’interno di esse con vigile occhio, poiché, sia chiaro, non tutto è consentito: la poesia ha le sue leggiadre/ferree, indeterminate/precise regole.


Fantasmi d’Arcadia

Io mi vorrei che queste tue mèmori storie
di pètrule levighe e sparse fossero in una sola mano
raccoltie così unque eddove diversi prolifici semi
segni arsi e vitali infinitesimi d’ore dolenti e felici
et oracoli di spemi rupestri eppur ancora carezzevoli
così ancora sulla rupe teniamoci – che tu non temi
ed io non m’abbandoni ad astanze colpevoli narcisi egoismi
dolcezze effluvii d’abbondanze inusiti ai sensi comuni
sprecati e disutili ai bàratri inviti ai volupti richiami
e canti vani e manieristiche nautiche peregrinazioni.

Scorrono pètrule – appunto – per queste stanze
carnali e cercano i tuoi spazi minuscoli d’un giorno
d’un’ora ond’io orora m’appresto a sfiorare le impronte
a rimirare il fermo ricordo qui là dove stai e come sai
una ciottolina il bicchiere una seta un sedile un
libercolo smarrito sìmule traccia di sguardi dolcidui
e lontani e inani risorse d’amore.

Le bateau s’amuse sciaborda indefinite istanze
ansioso àlbatro ivre ai bagliori sènsili crede immagini
prènsili alla carne consuma residui d’angosce e non
prova  - risente quantunque il canto di quella attenzione
tua sottile umana tanto quanto disumana d’assenza –
quanto lontano è questo giorno – oggi – questo mormorìo
d’acque prolifica rivelazione d’istinti unici – noi -
quanto – io - rivoglia un poco totale disponibile la tua
inobbligata fedeltà così che si disvelino à rebours
meraviglie oceanine feste sull’acque giovinette grida
e lasciti generosi rigeneranti quand’io più
che segnali pretenziosi e immeritevoli altro non dia.

Ma tu uccello-donna pacatamente ascolti generosa
risposta proponi e ciascun dimentica il dolore
invano poiché il volo ampio è muto finché non lascerà
insincere fredde captive classiche scenografie
finchè alle improbabili rive d’Arcadia non s’arresterà
atona e silente la notte degli archi.
Il giorno del dio
Sappi dunque, quantunque     si sappia, et ovunque                   
s’aspettino travolgenti     l’ansie del dire e del fare
seppur nascoste e silenti      dismisure in verità
estranee ai detti comuni     a quelle indigenti istanze
quando ancor dianze la forma     serva le mentite istorie
lasci degli dei le spoglie    s’appressi alle inani voglie
sappi dunque di quel tempo     d’un dio che voglia varcar
le soglie del prolifico     et insensato senso.

Sappi che quel dio t’appare     quanto tu provi alle viste
ristare non di fabule     e vane e menzognere
bensì quando tu fedele     ritocchi e carni et ossa
così credi in quel dio      e come credi egli possa
giugnere dallo spirito     vivo e sanguigno del nulla
così come t’insegna     l’acre increduta vision
del meister che guarda e     sa eckhart folle di turingia
e dona e suona l’inno     della benigna arsura.

Sappi che della poesia     amante io mi ritrovava
avante per vanità     con color che di molto
sanno e vanno per metafore     e ancor per metonimìe
competences e analogie     lalangue e metalogìe
sensi e non sensi bataille     e lacan et ancor barthes
d’utilità saggi ai viaggi     intra parola e segno
et in sostanza pegno     di ricerca - e tuttavìa
con qual risorsa di     giustezza e di verità ?

Sappi allora ch’egli venne     più discreto e confuso
da quelle genti gaudenti     verso di me a passi lenti
riguardando con dolcezza     e discorrendo della
mia ragion avezza alle     dismisure del dire
e del fare che dicon     poetare così come
sanno gli maestri antichi     delle parole senza
viziosi sensi e artifici      bensì sensuali carnali
amorevoli in-dicibili     riscritture eternali.

Sappi ch’era quasi un     giovinetto e sorrideva
i bianchi denti gli occhi     attenti e naturali
virginei ai comuni sensi     le sillabe leggere
danzanti in-significanti     a quelle dotte sapienze
a me rivelatrici     invece d’in-leggibili
misteri et insaziabili     immisurabili essenze
così come alcuno mai     infine m’era apparso
al mio creativo et arso     silente desiderio.

Sappi allora mi sovvenne     l’insegnante ovidio
«se costoro l’arte non     conoscono d’amare
leggano questo carme     e letto dotti amino
con l’arte a vela o remi     veloce nave si guida
veloci volanti carri      con l’arte si guidi amore
come l’aereo automedonte     e tifi abile nocchiero
venere magistra a me     tenero amore prepose
invero egli è selvaggio     ma ancor docile fanciullo».

Sappi come quel giovine     venuto quasi dal nulla
sguardo fiero ma disposti     sensi mi rivelò
che l’amor di poesia     detto è di segno virgineo
che non guarda le storie     bensì sue sensuali forme
questo mi rivelò     rivelando se stesso
che appariva puro d’arte     e libero d’artifici
tuttavia colmo di vite     di sapienza primigenia
contraddetta aurea persona     eppure senza maschera.

Sappi allora come allora     seppi sebbene nascosto
ch’egli era un semplice dio     in quel giorno del dio
dalla originaria carne     di mistero e conoscenza
giunto sì dal nulla della     prolifica metamorfosi
là dove eternale il segno     si fa e si rifà materia
e nuova e senza orpelli     là dove ancor si prova
la necessità del dire    et oltre per nominare
la verità inspiegata     e la sua creatrice essenza.

Danza macabra
(Le cantate di Berna)  *

Sarabanda ruota lasciva
folleggia scheletrita Morte
alla gran sagra d’ogni sorte
sine cerebro si svolazza
si contorce canta et impazza.
Furba sturba la vedovella
e il cardinale. Si ribatte
l’anca lo stinco e il femorale
si rimpalla sdentati teschi
usa et abusa santi freschi
spensierata ghigna e digrigna
eppur ‘sì suadente e cortese
invita ciascun et a sue spese.
Teschia generosa non si
risparmia ti tocca e ritocca
e alfin pur ti blocca.
Suona bucine ingiudiziose
fuor del tempo d’ogni Giudizio
poiché sua è l’ora e dello sfizio.
Non impaura le dame e li
cavalieri e chi ancor di false
preci fa mestieri.
E così si piglia e ripiglia
discarniti suoi piaceri.
‘Sì danza l’uom e la femminella
con l’ossa gaudenti
e gli scarsi denti.
E si lacrima pallido
dolor alla sagra
delli morti per chi vermicolo
sempiterno si giace.
Allegranza ossuta invece
canta e tanto scricchiola e
si dà pace.
Quanto la Morte mai si tace.

* Albrecht Kauw nel 1649 riprese ad acquerelli le danze macabre (ora distrutte) dipinte da Niklaus M.Deutsch nel cimitero del convento benedettino di Berna.
Sonetto all’antica per Silvia
Convolano vivide ali di vento.
Amica dolcidula al canto della
speranza. Trascorre di stanza in stanza.
Là dove quando, quello spazio della

mente, lieve egli s’apre lieto al tocco
‘sì pacato e ridente di quel dono
intonso. Ed è pur silente quand’ella
di sé colma l’assenza vuota e stanca.

Perché leggera reca ciò che manca.
Sapiente dismisura, generosa
all’usura disgregata del tempo.

Lascia così svanendo oltre il bagliore
di quell’ore liete la traccia della
quiete ove s’appaga ogni voglia vaga.

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