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mercoledì 25 maggio 2011

Fausto Razzi: Letteratura e musica: un’esperienza

(Testo tratto da una conferenza al convegno curato da Alberto Asor Rosa su Letteratura italiana del Novecento: bilancio di un secolo, Roma, 13/16 novembre 1996 [Einaudi 2000] )


Il testo inizia con una premessa  sul senso della ricerca:

“penso che la ricerca - qualsiasi ricerca, non solo quella musicale - abbia valore solo se unita ad una costante attenzione nei verso la società con cui deve confrontarsi: qualsiasi posizione contraria, come ebbi a scrivere qualche anno fa, renderebbe del tutto impensabile ogni dialettica e la ricerca tenderebbe a perdersi nella speculazione astratta affermando se stessa col negare la realtà che la circonda. Una posizione, dunque, per la quale si potrebbe addirittura parlare d’incapacità costruttiva.

La storia di Fausto Razzi compositore si situa per buona parte nell’alveo del rapporto con il testo letterario impegnato (fin dagli esordi egli affronta testi di François Villon, di Christian Morgenstern e di Detlev von Liliencron): riporto quindi per esteso la parte del testo in cui viene  affrontato il nodo testo letterario/musica:

“A questo riguardo, è forse utile chiarire che la posizione più diffusa è quella di considerare il rapporto parola-suono-significato una questione in certo qual modo “privata” del compositore: nel senso che questo testo, il quale certamente stimola e condiziona la fisionomia dell’atto compositivo (e naturalmente ne costituisce la ragione profonda), viene ad assumere poi per l’ascoltatore la funzione molto più sfumata di una sorta di “chiave di lettura” del lavoro musicale, nel quale la parola in sé non deve essere quindi necessariamente percepibile e comprensibile. Per quanto mi riguarda invece, già dalla fine degli anni ‘50 ritenevo - e tuttora ritengo - che la “comprensibilità” sia una caratteristica necessaria e assolutamente inscindibile dalle ragioni che inducono ad affrontare un testo poetico: in definitiva, una condizione primaria per la comprensione dell’intero lavoro. II che non esclude, ovviamente, la volontà di operare uno “scardinamento” delle modalità di lettura: di lavorare cioè, oltre che sul significato delle parole, sul suono degli elementi costitutivi del testo medesimo. Un’esigenza che nasce dal tipo di musica che scrivo e che sinteticamente potrei definire fondata sul rumore e sul silenzio / sull’indagine del suono strumentale o - nel caso specifico - delle vocali e delle consonanti/ su strutture ritmiche complesse, che nascono da sovrapposizioni altrettanto complesse di ritmi semplici. I risultati di questo modo d’intendere la presenza e la funzione di un testo poetico penso siano evidenti nei miei lavori su testi di Pasolini, García Lorca e Gatto; i testi di Sanguineti, sui quali ho lavorato in questi ultimi anni - in particolare il lavoro teatrale Protocolli - sono stati per me un ulteriore, importante stimolo.”.  

Ma il lavoro di ricerca si scontra subito con notevoli difficoltà sia per l’individuazione di un interprete che deve essere distante da una lettura convenzionale sia per quelle ancora più grandi che incontra per l’accoglienza e la circolazione nella società.  Inoltre, solo una minoranza assai ristretta di intellettuali ritiene tuttora che la musica sia parte importante della cultura. Razzi ritiene che la critica abbia tradito il suo compito, poiché è condizionata dall’editoria ed è allineata su criteri valutativi che non sono adeguati a veicolare i valori di una musica di ricerca. Essi, cioè, non consentono di percepire la

“differenza tra lavori complessi, ricchi d’informazione e di motivazioni e soprattutto non basati su cascami retorici o linguistici, e lavori privi d’interesse perché banalmente ripetitivi o chiaramente e riduttivamente semplificatori”.

Quindi


“Il primo passo per una chiarificazione dei rapporti, delle rispettive autonomie e delle possibili interdipendenze tra musica e letteratura è dunque quello di ristabilire un dialogo in grado di colmare la distanza che separa la maggior parte degli intellettuali da una reale consapevolezza dello spessore del pensiero musicale”

La musica infatti

“non è limitata alla sola sfera dell’irrazionale, “non è esclusivamente espressione di momenti emozionali”.

La mancata ricezione della musica di ricerca ha una conseguenza diretta sulla possibilità di dialogo tra musicisti e poeti:

“Proprio dall’attuale situazione questo rapporto sembra essere messo pericolosamente in crisi: molti scrittori, che pure con la loro ricerca e la loro produzione dimostrano di muoversi su posizioni assai avanzate, non sono infatti in grado di cogliere le analogie di percorso nei paralleli lavori di musica “complessa”, né mostrano d’altronde di rendersi conto della distanza che separa la propria ricerca dai compositori con i quali spesso incautamente capita loro di collaborare: e si tratta di musiche concepite secondo modalità tuttora saldamente, ideologicamente ancorate a stilemi tradizionali oppure scritte secondo un’ottica che le subordina completamente al testo, riducendole drasticamente a banale ‘commento’ ”. 

E Razzi sottolinea anche che il grado di


“minore o maggiore o minore modernità non dipende dalla grammatica del linguaggio musicale adottato, ossia, per intenderci, dal fatto che venga impiegata la “tonalità” piuttosto che la “non tonalità” (o, come si usa dire, la “dodecafonia”: con un impiego errato del termine, la dodecafonia essendo una grammatica da tempo storicizzata e ormai utilizzata solamente da innocui epigoni). La modernità nasce invece dal rifiuto di un atteggiamento, di una mentalità: quella mentalità che ritiene di dover ricorrere ancora ai vecchi procedimenti retorici della tradizione melodrammatica: una consuetudine ormai da tempo sufficientemente logorata, che per molti sembra costituire però non un condizionamento difficile da scardinare, quanto addirittura un modello da riproporre acriticamente”.

E, naturalmente ciò si riflette anche nell’uso dello spazio scenico e negli apporti della regia. Ma il discorso di desolante stato in cui la musica versa per le condizioni in cui è costretta ad operare, non si traduce, in Razzi, che in una denuncia veemente e in un rinnovato slancio costruttivo che fa della libertà esperita in solitudine lo strumento di liberazione dalle gabbie in cui i risultati dell’audience vorrebbero relegare ciò che è complesso, cioè non vendibile.

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