Finanche l’osservazione di un albero è per Gilberto Isella azione a cui consegue un effetto prodigioso, poiché osservare è sempre già conoscere e per traslazione narrare. Il poeta enuclea gangli distanti, nella rete concettuale/emotiva, anche quando si avvicina per gradi del tutto generali alla pianta, di cui avverte l’alterità e a cui attribuisce qualità di soggetto. L’albero ha la “foglia pensante” ed emana chiarità e riflessi che si effondono nell’ambiente circostante. Ma tale ambiente è già inesorabilmente cambiato.
Le macchie sulla corteccia evocano la presenza di una pantera, quasi effigiata nella scorza lignea, un cameo, come di cosa che contenga altra cosa. La memoria ha una struttura tutta sua che non rispecchia l’ordine della realtà, è più vicina al sogno, ove le proiezioni nascono l’una dall’altra. Luogo alchemico ove le linee e i colori trasmutano la loro forma e sostanza. A Venezia tale trasformazione si diparte dal soggetto stesso: Venezia abita il corpo, picchiettato dai colpi di un piccione, e lo deposita ai piedi di un leone. Qui il riecheggiamento, data l’effervescente vitalità dell’immagine della città lagunare, emerge quasi come una restituzione passiva del soggetto coinvolto. Per intanto, i grani di luce disseminati su un piano nero in una struttura ordinata geometricamente, all’interno dei disegni di Giulia Napoleone, procedono per variazioni di potenza: alcuni punti nella rete sono meno intensi o come sfocati da una polvere lucorosa di lontanissimi astri.
Non a lungo
in raggelati processori
stanzierà la storia segreta
di un platano
Scolatura liscia dell’estate,
chiarità, foglia pensante,
midollo ramoso che veglia
e infine si consuma
in chiazze a specchio
oltre la siepe
Libido antica, metamorfica
è la pianta sovrana
che avanza sottopelle
dove risuona
melodia strana di marimba
E sul tronco
la pantera rotonda
non più ampia della macchia
racchiusa nel suo artiglio
Trema una maglia di terra
in qualsiasi prodigio
La memoria ha il dovere di conservare, ma sempre all’interno della griglia spazio-temporale. Altrimenti ciò che si presenta di soprassalto, sovrapponendosi alla percezione attuale, non ha abbastanza potenza per opporvisi: le spezie nel suk dei Dardanelli non riescono a imporsi all’attuale odore degli sterpi. Dall’albero al viaggio: i frammenti, incongrui, si ricompongono in una visione saldissima per poi disperdersi un istante dopo.
La reminiscenza è, infatti, discontinua e come il caos fa emergere erbacce o gioielli. Persino la polvere, grazie al ricordo, può assurgere ad arazzo. Memoria rende il reale un regno meno arido e inospitale. Con mascheramenti, lucide illusioni, essa fa sorgere, dalla fanghiglia notturna, luminarie, persino cervi da un tappeto medioevale. Le immagini si formano sullo schermo mnemonico che ha raccattato frammenti di immagini ovunque. Tali reperti sono una linfa vitale per l’uomo, il quale insegue contemporaneamente un continente calcolato matematicamente. La ragione non vuole mai mollare la presa, è innervata al linguaggio, pur anche quando le immagini espresse non siano unificabili.
Che relazione, d’altronde, esiste tra la matematica e la memoria, la dispensatrice d’immagine, è questione del tutto retorica. Entrambe ci paiono condividere la medesima qualità del cosmo, che si accende a intervalli solo in alcune zone, a volte creando una trama di rombi, come in uno degli splendidi disegni di Giulia Napoleone.
Si allunga il catalogo degli anni
e tu togli midollo alle forme
che sfilano accanto a te
Ignori che i bosoni sono biglie impazzite
sulla pista del nulla, salutate
a malapena da un capitano invisibile
Immagini che il tuo lenzuolo
sia un continente matematico
generatore di picchi, lagune, isole,
abissi, dove in sembianze mutevoli
per tenebra o luce
la fisionomia degli anni
si accampa
Quante volte l’hai sollevato?
A Sansilvestro ti capita di piangere,
indifeso, su quel fantastico
crudele
numero di volte
La scrittura poetica di Isella, assottiglia i propri strumenti per farsi artefice della paradossalità del linguaggio. La memoria offre sul piatto immagini, ma è il linguaggio che attesta - nell’opera poetica - di un avvenuto scambio. Non formale, nel senso che pertiene specificatamente all’immagine, ma semantico. Convocare la scienza al tavolo della poesia e far sedere entrambi i re sul medesimo scranno è impresa invero eroica!
Rosa Pierno
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