Invocare la spontaneità, la libertà sembra una cosa fuori luogo. I mostri che prendono corpo sulle pagine, col relativo corredo di trattini ripetuti al fine di donare loro un fondale di esotico stile, certe volute che si aprono in orifizi senza fondo o certi grovigli vegetali indistricabili menano innanzi una pudica verità: il disegno non si può scindere dalla narrazione.
A riprova, quella necessità costante d'introdurre la scrittura, di disegnare su fogli già stampati o di inserire disegni consequenziali in bande che contornano l'immagine centrale, e che valgono come il viatico per un racconto che non può svilupparsi oltre.
Teatrini e serpenti piumati sono più un simbolo che un narrato testo e reclamano l'urgenza di legarsi a uno svolgimento seriale.
Le silografie dei libri più belli del mondo sono dietro l'angolo, risiedono perennemente sulla coda dell'occhio, sono incise sul palmo della mano.
Le figure occasionate dal testo già stampato, come la donna nata dalla presenza di parentesi graffe o la scimmia che serve frutta e conto assieme, si radicano in un mondo dove le storie sono create dalla contiguità tra testo e immagine. Storie che appaiono congruenti solo attraverso la loro prossimità.
"Sono tutti là" sulle due pagine aperte del taccuino: squadernati a bella posta, attori convocati per tutte le possibili storie del mondo.
Il tratto fumettistico non induca in inganno sulla possibilità reale che una tale assemblea si coaguli, si muova seguendo un ordine. Le tacche, inoltre, riempiono gli spazi bianchi ancora agibili, rarefacendo lo spazio a disposizione. Fa caldo nella sala, le voci si accavallano.
Ogni immagine, figura, tratto è legata visceralmente a una parola, a una frase. L'artista insegue il lestofante fin nell'angolo estremo del foglio.
Il paesaggio, incantevole, luna alta sulla falesia, che discende, precipitando, dalle xilografie giapponesi, ci mostra un artista consumato, strenue negatore dell'improvvisazione.
Il gattino stampigliato sul foglio pretende un cane-drago che lo minacci e che non s'accorga che il piccolo felino non fa una grinza, né arretra.
Una storia per immagini non ha capo né coda. Non si snoda, si assembla, si accosta e si allontana. È fatta di inserti che non hanno attinenza, di disgressioni astruse e cambi di scala, di alterazioni spaziali e temporali: non è certo una storia quella che il pennello infilza sulla punta!
Le trame dell'inchiostro, il tratteggio che diviene curvilineo e si aggroviglia, si assembra in membra, si discioglie sui pendii in neri rivoli, racconta uno stato vorticante della mente.
Un disegno ha spesso una cornice, ma non sempre ha il soggetto al centro. A volte, c'è un paesaggio e nei riquadri laterali qualcosa viene registrato nei suoi moti tellurici. Il personaggio principale resta aggrappato sui bordi esterni.
Si vede la nave sulla linea dell'orizzonte, poi nell'occhio della tempesta e ancora un particolare ingrandito dell'ondoso mare. Tuttavia l'immagine è una sola.
Nei riquadri che circondano la figura centrale, e che fungono da cornice, è replicato il medesimo oggetto visto da altri punti di vista, ma ora dislocati in un continuum temporale. È la moltiplicazione dell'immagine. È l'immagine che non ha più centro.
Rosa Pierno
Nessun commento:
Posta un commento