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giovedì 31 marzo 2016

CoBrA: una mostra europea a Palazzo Cipolla, Fondazione Roma


 
Nel titolo  "CoBrA. Una grande avanguardia europea 1948-1951" è l'esplicito riferimento al carattere internazionale del movimento - che prende il nome dalle lettere iniziali delle capitali dei paesi degli artisti fondatori: Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam - ad assumere un intento progettuale, sia nelle idee del gruppo che in quelle degli organizzatori della mostra. Non una facile esposizione, quella presentata dalla Fondazione Roma a Palazzo Cipolla, dal 4 dicembre al 3 aprile 2016, ma estremamente interessante, per certi versi unica, in relazione alle scelte maggiormente omologate del territorio romano,  perché rappresenta un punto di svolta fra le produzioni  dei primi trent'anni  del Novecento e la produzione che caratterizzerà gli anni 60-70. E, come esplicitato dal Presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Francesco Maria Emanuele, se il gruppo CoBrA rappresenta un periodo "meno conosciuto sul territorio rispetto ad altri" le sue caratteristiche culturali "si qualificano proprio per quell'ansia di libertà che si percepisce nelle opere in mostra", esprimendo la volontà" di disegnare un'Europa già unita e capace di trasmettere nuovamente valori universali dopo la tragedia dell'ultimo conflitto mondiale". Concetto centrale visto che i conflitti vengono definendosi sotto profili culturali e dove l’intesa interculturale è strumento indispensabile che consente di attuare nella comunicazione intersoggettiva delle forme della nostra vita culturale il superamento delle contrapposizioni.

 
Eppure, se il pensiero va subito all’internazionalità dei nomi che hanno partecipato a questa avventura (francesi, belgi, norvegesi, tedeschi), più che la varietà  delle provenienze conta la messe di interessi nuovi, e tutti sperimentali, intorno a cui costruire nuove identità e processi culturali. Non solo il recupero delle specificità  culturali, delle individualità che costituiscono la ricchezza delle culture, dei materiali figurativi legati alla tradizione locale, ma anche il recupero dell’espressività infantile, delle arti dei popoli non occidentali, un ritorno alla materia e alle forze emotive, prima ancora che percettive, le quali  si legano a pulsioni non sempre logiche o concettuali, e spianano la strada al caos e al disordine, con la loro carica prorompente ed espressiva. Tuttavia, siamo in presenza di qualcosa che forse viene espresso per la prima volta, in barba ai surrealisti: l'inconscio non necessariamente è qualcosa che ci domina senza che possa essere ricondotto in un ambito progettuale. Anche se, come vedremo, non è progetto che passi per una forma, almeno dal punto di vista teorico. Se, infatti, è dichiarata la dissoluzione dell'idea classica di forma, dall'altra, in numerose opere, si riconosce un tenace figurativismo legato alla sfera emotiva, alla ritenzione di ciò che si riferisce ad aspetti concretamente esistenziali (é il caso di Asger Jorn, di Karel Appel e di Constant, di Lucebert con gli animali, i corpi, le teste o di Carl-Henning Pedersen con elementi paesaggistici, urbanistici e favolistici).

 
In   ogni caso la forma é colta anziché nel suo dissolversi, nel suo formarsi sulla retina; quasi setacciata dalla massa di impressioni sensoriali e emozionali. Più geometrico Corneille che struttura in una griglia di raffinatissimi passaggi cromatici o in una  trama coloristica vibratile i suoi oggetti e i suoi temi. Cambiano le scale cromatiche, il grado di forza espressiva, in alcuni mediata da una tonalità emotiva più delicata, ma lo sfondo, in tutte le opere, non è che l'acqua riflettente in cui le  figure si formano e si disperdono per nuove figurazioni, dove l'io sembra esprimersi senza mediazioni e  dichiara la propria libertà dalle convenzioni. Anche se corre l'obbligo di dire che il riferirsi alle arti primitive non può che valere in quanto prelievo da interpretazioni raffinatissime (Costant, "Femme qui a blessé un oiseau avec une feuille mort”) e, dunque, non sono presenti soltanto forme d'immediatezza come è il caso del disegno infantile. Impeti informali privi di figurazione sono preponderanti nelle opere di Karl Otto Götz, William Gear, Else Alfelt, Svavar Gudnason. Nel crogiuolo di CoBrA vengono a congiungersi le influenze tardocubiste, postsurrealiste, materico-gestuali e informali, ma in vista di un superamento delle stesse in direzione di un'arte di  tutti e del conseguente abbattimento dei confini disciplinari fra l'architettura, la poesia, la scultura, ecc.). Lucebert, ad esempio, poeta che diventa pittore, o Christ Dotremont con i suoi segni calligrafici (china su carta montata su tela). Particolarmente interessanti sono i quadri realizzati da quest'ultimo in collaborazione con Pierre Alechinsky, ove i corpi aggrovigliati mostrano la stessa corsività della scrittura.

 
Se si può far risalire all'influenza di Nietzsche l'interesse per un ritorno all'arcaico nell'evo moderno, registrato già in Warburg e più tardi in Cassirer, dalla medesima costellazione, l'avanguardia, in pittura e in letteratura, in psicologia e filosofia ha tratto importanti impulsi. Quasi una filosofia vitalistica, che celebra la spontaneità della vita colta nell'affiorare delle pulsioni non irregimentate. Ma questa, abbiamo detto, è una mostra difficile per la sua complessità e la ricchezza degli spunti riflessivi, oltre che inusuale. Si pensi  all'affermazione - presente nel catalogo della mostra del 1944 - "che tutti possono essere artisti e che l'arte non è una questione di tecnica" con quell'altro snodo esplicitato nel manifesto "il nuovo realismo", il quale propone "una rivoluzione artistica fondata sulle potenzialità naturali della materia e sulla vitalità scatenata dell'essere umano",  il che ci fa notare che il movimento CoBrA riconosce che c'è una materia, ma non una tecnica. Criticando "la concezione dell'automatismo psichico di Breton considerato troppo mentale", il movimento CoBrA precisa che la nozione di spontaneità è "un atto fisico che materializza il pensiero" e la pittura è  un'attività "che fa emergere il flusso psichico inconscio direttamente dalla materia fisica, mettendo in crisi il principio stesso della forma". Ma si comprende perché al centro sia una materia senza tecnica: come scrive Costant (uno dei fondatori del gruppo): "il materialismo è per noi anzitutto sensazione: sensazione del mondo e sensazione del colore".

 
L'arte, pertanto, come risposta alle carenza della società, avente il ruolo di liberare  la creatività e di costruire il migliore ambiente possibile per l'umanità. A ciò si devono le molte facce del movimento "che non facevano capo a un'unica filosofia", ma che erano, appunto,  espressione di uno spirito creativo collettivo il quale, necessariamente anteponeva un certo numero di esigenze etiche alle tecniche espressive. Ma che resta attualissimo, in quanto ancora gravido di sviluppi.

  

                                                                                    Rosa Pierno

 

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