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domenica 25 ottobre 2015

John David O’Brien alla galleria d’arte La Nube di Oort, Roma




Nelle trame  ottenute o rappresentate per via scultorea, con l’inserto di oggetti quotidiani su vassoi sovrapposti, il gioco è ancora quello della sovrapposizione/connotazione di molteplici ramificazioni semantiche, ove la linea nera tracciata sul piano vitreo di ciascuna mensola dice ‘segno’ per via difettiva, ricordandoci in John David O’Brien, artista americano di formazione italiana, ritorna a Rom, fra compagni di strada e maestri in un omaggio che è tanto grato quanto generoso. Se, dunque, su una delle pareti della galleria si possono ammirare le opere di Bentivoglio, Botta, Calavalle, Colazzo, D’Alonzo, Napoleone, Porcari, Predominato e Strazza, come di Adest, Habenicht, Hudson, Santarromana, Ripple, Roden, Tse, Wedemeyer, che in mirabile colloquio formano una ragnatela di rimandi e suggestioni con le opere di O’Brien, dall’altra rimarcano anche, inevitabilmente,  la specificità dell’opera dell’artista americano.

Dalla passione per l’incisione o per il segno ossessivamente perseguito, quando si tratta di riprodurre una carta urbanistica, si passa alla derubricazione di tale tecnica o della cartografia con un atto inequivocabile, significativo di per sé, perché del segno, O’Brien traccia fin da subito, non il suo grado zero, ma la moltiplicazione del significato. Così le trame del senso sono quelle realmente rappresentate, ancor più di quelle del significante, il qualetal guisa che il segno vive di questa  doppia natura di veicolo del senso, spesso non avente di per sé spessore o materia. A riprova, piccole sculture volanti (metallo tagliato col laser) testimoniano del triplice gioco istituito tra figura, pieno/vuoto e ombra proiettata. Apparendo evidente che le determinazioni denotative,  così bellamente sparse, a loro volta si affidano per la loro fissione a uno spettatore non ingenuo,  che ama essere sorpreso e divertito, poiché meraviglia non vuole separarsi da arte, in gioco effettivamente colto e avvertito.

Una disposizione che si coglie anche nelle affascinanti opere che replicano le piante urbanistiche di famose città (Napoli, New York, Roma, San Diego), interamente tracciate con un rapidograph, ma dove il segno generatore è una sorta di quadratino che assemblato in varie disposizioni mima le diverse realtà metropolitane. Qui, il gioco scoperto della mimesi è sabotato: la pianta è solo apparentemente rappresentativa della realtà della città. L’assemblaggio/lego è una sorta anch’essa di accumulo e dislocazione variamente distribuita: se ne ottiene un senso, ma non è quello giusto, non, almeno, quello canonico! A correggere l’impressione, intervengono piccole sculture giustapposte che potrebbero essere le superfetazioni tecnologiche di un futuro di là da venire o, allo stesso modo, elementi che non necessariamente possono essere attribuiti a un intervento urbanistico: in fondo, il segno palesemente si accompagna con ghirigori colorati: macchie che di quel segno divellono il significato e aprono al gioco linguistico.

                                                                                Rosa Pierno      

dal 22 ottobre al 16 novembre 2015 in via Principe Eugenio 60, Roma

  

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