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domenica 24 novembre 2013

“La terra cambia” mostra di Peter Flaccus presso la galleria La nube di Oort, Roma

A cura di Tanja Lelgemann
Inaugurazione 5 dicembre 2013 ore 19.00
Via Principe Eugenio, 60
Finissage 16 gennaio 2014



L’inarrestabile ricerca di Peter Flaccus condotta su un materiale tanto duttile all’apparenza quanto indomabile qual è la cera non solo non si esaurisce, ma si rivela foriera di esiti sorprendenti e molteplici. Alla cera lasciata colare su tavole lignee l’artista impone un processo di ulteriore lavorazione consistente nel sovrapporre strati di diverso colore e innescando differenti interventi atti a modificare, nel processo di solidificazione, la materia, ottenendone effetti variegati e diremmo affabulatori. Che la materia, sostanza, sia indissolubile dalla forma e questa dal significato era già stato segnalato da Aristotele, ma le opere di Flaccus appaiono quasi un laboratorio ove verificare tale assunto.  E non solo per la straordinaria qualità del colore che attiva la catarsi del fruitore, a tal punto che il colore, avvolgente, pare evaporare e prendere corpo nell’aria sollevandosi dagli stratificati piani, ma anche perché le intersezioni, le osmosi, i tagli anche geometrici individuano continue variazioni percettive nel colore, polarizzando in maniera intensissima l’attenzione e  causando propensione alla riflessione su un aspetto apparentemente contraddittorio della sostanza che tracima nel colore pur essendo altro.

E perché sia altro e in che modo possiamo rendercene conto osservando le tavole. Il colore, avvampante, non fa il paio con la sostanza lucente o opaca (secondo il trattamento ricevuto dall’azione dell’artista)  della cera, la quale costruita su piani diversi come fosse una differente pelle evidenzia il volume in quanto somma. Non fa il paio perché sottrae proprio al volume la sua poderosità, tenta di annullarlo. Il colore, insomma, pare attuare una strana operazione: da una parte si allea con la sostanza come agente in primis della  percezione e dall’altra come elemento eterogeneo, estraneo e respinto dalla materia  stessa. Su questo letto nessuna intesa possibile, nessun patto rinsaldato, ma una guerra continua  che mette in aspra evidenza l’incompossibilità dei concetti che adoperiamo come se avessero un certo fondamento e persino una loro a volte armoniosa coesistenza: colore, peso, volume, superficie, materia.

Tutto questo per dire che l’arte, quella che ci è stata consegnata dalla tradizione, ritrova nelle opere di Peter Flaccus i suoi elementi costitutivi e la cogenza delle sue analisi e delle sue verifiche, il che coinvolge anche la sfera del senso che le attribuiamo e che è del tutto autonomo rispetto al significato spesso analogico attribuitogli persino dall’autore (si vedano i titoli delle tre opere presenti nella mostra: Madagascar, The Alps, e The Islands). Il riferimento a località geografiche, alla tavola in quanto carta su cui apporre segni interpretabili - ai quali, cioè, si può attribuire la capacità di trasportare significati eteronomi -  costituisce dunque una ulteriore lettura dell’opera. Ma ritornando al punto che più ci interessa cogliere delle potenzialità insite nelle opere di Peter Flaccus, a quel concetto di ricerca che attraversa senza mai alcuna defezione tutto il percorso artistico del pittore americano, ci rifocalizziamo sul concetto di arte e sulla sua funzione, che è quella di risollevare eternamente il problema dei fondamenti e di dubitarne. Fondamenti che poniamo, di volta in volta, percettivamente o riflessivamente e di cui dubitiamo ancora percettivamente o riflessivamente.

La dirompente vitalità energetica del colore e delle zolle di cera, le quali si muovono come continenti alla deriva, l’effervescenza delle creste di colore che si frastagliano come mareggiate o si inerpicano sulla dimensione verticale o, se si vuole, lungo la terza dimensione della profondità, come trame e merletti con lente movenze da manta eguagliano l’eleganza di altre tavole dell’artista pur giocate sul monocolore e testimoniano di una raggiunta maestria nel dominio della materia e del colore.

Se avevamo fatto riferimento all’affabulazione presente nel quadro, è perché la parola vi lievita e si espande andando a ricostruire le relazioni tra le nostre zone mnemoniche e quelle della nostra esperienza percettiva. Ogni formella si offre per agganciare un oggetto o un concetto che ci pare di riconoscere nel campo aperto delle possibilità formali dell’opera. Ogni sovrapposizione si offre come sinonimo dell’ esperienza corporea e ci mena per altre vie: quelle più propriamente spaziali, di orientamento e di riconfigurazione degli spazi conosciuti e di quelli solo intravisti o immaginati. Giacché qui fortissima è la convocazione della capacità immaginativa, vero e proprio ospite speciale per la percezione dell’astanza artistica. 

Se fosse possibile leggere un libro e averne concretamente sotto gli occhi le immagini evocate, esse coinciderebbero con la visione di queste opere, giacché persino la forma delle tavole (accostate e di formato rettangolare evocano, appunto, la forma del libro).   Ancora, le vie ambigue di tutte le esperienze mentali e corporee ( per dirla nella maniera più generale e che non  a caso evoca ancora la genialità degli asserti aristotelici) adombrano l’area che per Flaccus è un caposaldo: la ricerca nell’arte è il motore e, assieme ad esso, il senso da raggiungere è nel portato della sua autonoma valenza. Ogni ricerca deve essere tesa fino al raggiungimento del suono perfetto, al limite delle sue potenzialità al fine di  raggiungere lo scopo di mostrare in immagine i paradossi sui quali riposano le nostre certezze.

La compresenza di geometrico e informale indica in Peter Flaccus una precipua linea d’indagine che fa collidere i due linguaggi (astratto e informale) per ricavarne un  lessico più ampio abbattendo anche gli steccati fra stili. La scommessa è che tra organico, quale si rileva non solo nelle forme, ma anche nella materia di derivazione naturale, e il geometrico non passi l’usuale linea di demarcazione tra astratto e natura, ma tutto precipiti in segno. Discorso che si può più agevolmente seguire nelle opere precedenti, nettamente inclini verso una caratterizzazione esclusivamente segnica. Ma non  è d’uopo qui svilupparne il tema, quanto solo metterne in rilievo l’esistenza sempre per portare acqua al mulino di una molteplicità di interessi e di studi e una loro verifica nella prassi artistica di questo instancabile artefice.

Il caso, elemento indomito di ogni opera d’arte, viene qui mantenuto in stato di cattività. Se ne percepisce la catena, diremmo, poiché ad esso non è stata inibita totalmente la possibilità di moto proprio, ma tenuta in sordina e pilotata per ottenerne effetti di interazione con le altre componenti nel quadro. Di questi giochi sontuosi, a rimpiattino tra sfocature e messe a punto, tra indecisioni della cera e mano ferrea del costruttore di piani si gioca la riuscita dell’opera e di conseguenza il raggiunto dominio dell’arte. Preziosissimo prodotto di inesausto ricercare, di cui è splendida dimostrazione l’opera tutta di Peter Flaccus.

                                                                               Rosa Pierno

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