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domenica 8 settembre 2013

Imre Toth ”Matematica ed emozioni” Di Renzo, 2004


Imre Toth, storico della scienza, ci introduce col suo piccolo libro Matematica ed emozioni, edizioni Di Renzo, 2004, al racconto della propria vita poiché la matematica ha un tale peso nella sua vita da dirigere l’elaborazione mentale anche nella sfera esistenziale. Niente di fatalistico però, poiché lo storico fa riferimento all’antico concetto di “daimòn”: l’uomo prima di nascere sceglie il proprio daimòn, cioè la propria personalità o stile di vita, da cui consegue la libertà di ogni nostra determinazione nelle varie e complesse situazioni esistenziali. Ed è su questo ingranaggio che avviene il passaggio di scala tra miserie, meschinità, grettezze umane rintracciabili costantemente in ogni evento storico e i grandi valori che pure la storia trascina con sé: “ Se non esiste la possibilità di giudicare al di là di questi piccoli fatti concreti tutta la storia umana diventa spazzatura”. Inoltre, è soltanto  l’eccezione che conta, poiché è in essa che si rintraccia il rifiuto dell’accettazione passiva, fondando la possibilità che una seconda Auschwitz non si ripeta.

La matematica rappresenta per Toth un avvenimento dello spirito: “immerso nel quadro etico-politico della presa di coscienza della libertà”. Proprio studiando la matematica e la sua dimensione metafisica, poiché sono entità che esistono solo nel pensiero, Toth ha sentito la necessità di conoscere il pensiero dei filosofi, avvedendosi ben presto che la matematica, conosciuta come una scienza razionale, è in realtà una fabbrica dell’impossibile: “la matematica dimostra, da un lato,  che è impossibile che un numero moltiplicato per se stesso dia -1, ossia che la radice di -1 non esiste, e poi fabbrica questo numero impossibile”. Questo superamento della logica lineare verso una linea di pensiero appartenente a tutti i mistici dialettici, questo passaggio dall’ente al non-ente, fa compiere a Imre Toth il seguente passo logico:  “la matematica si può comparare piuttosto all’arte, perché ci sono solo due forme di sapere esatte: gli Elementi di Euclide e Madame Bovary di Flaubert”. Non è possibile introdurre né eliminare elementi in nessuna delle due opere. Se vi è una differenza tra di esse è che Madame Bovary tratta di sentimenti umani e la matematica no: ”Eppure questa scienza condivide con l’arte lo status ontologico: è più vicina all’arte che non alla fisica o alla biologia”. “Benché i numeri immaginari non esistano la loro teoria descrive il loro mondo con un’accuratezza assoluta, così come il testo di Madame Bovary descrive la persona non esistente di Emma Bovary. Infatti, la matematica è una scienza esatta soltanto perché parla di cose che non esistono”.

Ma il fatto che la geometria non euclidea descriva un mondo impossibile, che Aristotele designava con il termine di geometria non-geometrica, non ha implicato che essa fosse definita come mostruosa o assurda. Ora è proprio osservando la convivenza tra le due geometrie che Toth si convince del “fatto che questa scienza ha lo stesso paradigma di un’opera d’arte”  e che si tratta di un unico dominio organico dello spirito umano, in cui due totalità opposte, euclideo e non euclideo, coesistono simultaneamente. La matematica fa parte integrante dello spirito umano e dunque affonda nello spazio trascendente della dimensione etico-politica dell’essere umano. Essa è veicolata da un atto di cui solo l’essere umano è capace ed è legata alla libertà già in Nicola Cusano. La matematica valorizza l’atto della negazione producendo mondi concreti: l’atto della negazione è sufficiente per garantire l’esistenza del non essere. Esiste la bellezza di un dipinto, di un bambino, di una pagina di Cusano, ma anche di un’idea. Ed è il sapere dell’oggetto che dà esistenza alla cosa saputa: “ogni lettura è un’interpretazione e ogni interpretazione è una manipolazione del testo”. “La geometria euclidea che genera il suo antimondo  si spiega per la presenza di un soggetto che dice “no” al suo proprio mondo”. Se Aristotele fu il primo a definire la libertà come scelta tra un sì e un no, fu Spinoza a dire che non è la necessità a costituire il limite della libertà, ma l’arbitrario. L’uomo libero sceglie il necessario e si oppone alle costrizioni.  

                                                                       Rosa Pierno


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