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martedì 17 settembre 2013

Daniele Poletti “Poesie e Defixiones”, 2012

Sebbene il tessuto poetico sia innestato da schegge metalliche, da scarti di lavorazione, da ingranaggi, strumenti tecnologici, la loro costante presenza, non intralcia lo sguardo perlustrante del lettore. Sono ausili, non il nemico contro cui rivolgere invettive, come invece accade in tanta parte della cultura novecentesca avversa alla scienza e alla tecnologia. La tecnica che sembra ancillare al corpo, non può in ogni caso risolverne i problemi, ma nemmeno sembra porne. Anzi, emerge ancora più scarno ed essenziale il problema sollevato dal corpo, dalle sue protesi. I capillari, i ventricoli, gli sterni, nella poesia di Daniele Poletti fanno problema, sono il reale versus linguaggio, a cui solo per necessità di completezza viene affiancata la natura, ma più come analogicamente ripetitiva (le ramificazioni al posto delle vene, le foglie al posto delle membrane, ecc.: “Argilla e pietra nel succo identico del ripetersi”.) E le malattie del corpo vengono equiparate a quelle delle piante  o addirittura trasmesse ai materiali inerti. Ma, contemporaneamente, il corpo proietta, nefasto, i suoi spurghi, i suoi umori, i suoi nervi annodanti, persino la sua morte, su lenzuola e cielo (“morituro cielo”).

Tale accostamento non per segnalare la via di risoluzione della contesa tra i due contendenti, ma per mostrarne la irriducibilità, il salto esistente nell’analogia che non ci priva in ogni caso della possibilità metaforica, ma che anzi vede proprio in essa le potenzialità della sua riuscita. Un lavoro che sembrerebbe inserirsi su quel binario meta-letterario per cui quello che si mette in evidenza non è soltanto il contenuto manifesto, ma una riflessione sul modo di prodursi del pensiero letterario, cioè sulla sua specificità. E che ci sia un legame, poi, fra filotassi e matematica, fra materia e pensiero astratto è un corollario che non viene  a complicare il già saturo quadro in cui il corpo riempie persino gli interstizi, non lasciando alcuna asola di vuoto.

Certo non è assente un polemico accenno contro il tentativo di attribuire ogni soluzione alla sola ragione:
  
Visura

Spiovuto si cammina alla cieca
i riflessi strizzare d’occhi un arrugare
ai bozzali che duplicano il cielo
in sciepi, trovatura di nuvole
l’occultà degli incroci e delle strisce
pedonali. Con gesti armillari classifichi
le ombre per ripararci dall’ombra
hanno tagliato tutti i rami istituito
il catasto delle aree aduste non
vi sarà apocatastasi perché un giorno
fu detto che il sole è una stella
e se ne perse l’uso. Lo sgretolo
della luce nell’oggi vero di sempre
preme in basso la terra che porto
nelle tasche di nuovo il tentativo
di invertebrare il tempo. L’acqua
nel mortaio pestare le nuvole
il celeste intenso esiguo rinsecchito.

La ragione non può essere una soluzione valida quando ci si dimentica completamente che abbiamo a disposizione ben altri strumenti per sistemarci nel mondo (dall’immaginazione, alla percezione). “Invertebrare” il mondo ha qui il senso di operare una sostituzione che, però, non dimentica mai di essere tale. Qui si tratta esattamente del problema del realismo e dell’antirealismo che Wittgenstein ha tentato di superare sulla scia di Aristotele, con un ancoraggio nel linguaggio. L’orizzonte di senso sopravanza il reale. E proprio da questo raggiunto incrocio si diparte Poletti, il quale penetra nell’operare del linguaggio in modo da svelarlo, contro una forte tendenza a fraintenderlo. In questa direzione, dunque, Poletti non congegna un linguaggio ideale, dispiegato, ma un linguaggio in cui la logica arriva sempre dopo e le tavole anatomiche, che s’incrociano con quelle botaniche, nell’evidenziare che tutto è già in ordine con il solo loro accostamento, mostrano un senso a cui non manca nulla. Se infatti formalizziamo un pensiero troppo monocorde, non riusciamo più a cogliere la molteplicità originaria del linguaggio. Di qui l’importanza di trovare membri intermedi, significati aggettanti, andando a ricostituire quel fascio di fibre che è il senso.

Nella prima parte della raccolta, avvertiamo la presenza di un occhio indagatore che scorre e registra, che opera trasformazioni o individua equivalenze, come accadrebbe in una  wunderkammer. Niente di alchemico, ma tutto compresente. Nessuna esclusione: tutto partecipa all’allestimento. Nella seconda parte della raccolta è, però, l’orecchio a pretendere il proscenio, il lessico si slabbra, si sventagliano forme atipiche fino al refuso, sovrapposizioni e innesti. Vale qui riportare le parole dello stesso autore assolutamente esplicative sulla modalità costruttiva con cui opera, in maniera  artigiana, diremmo fisica, sul materiale poetico:     

“Per quanto riguarda alcuni "neologismi", parole come: ‘sterpiti’, ‘maceriata’, ‘intristito’,’ pietrà’ hanno il fine di creare un alterazione percettiva: in quanto "pietrà", ad esempio, verrà letto d'acchito, da un’alta percentuale di lettori, come ‘pietà’ o ‘pietra’. Nel realizzare invece che la parola è "pietrà", l'auspicio è quello di aver creato un cuneo, un’unica parola, con  una plausibilità fonetica e morfologica (anche se anamorfica!), che suggerisca due immagini e che si incunei (appunto!) nel cervello secondo una logica non additiva, ma esponenziale. Perciò ‘una pietrà di rami’ è un verso che dovrebbe connotare la stagione invernale, già denunciata in apertura di poesia, attraverso una vegetazione che è pietrificata (spoglia) e allo stesso tempo pietosa, di una pietà che adombra il motivo cristico della corona di spine (anticipato con ‘incristito’).”

Felicissima opportunità di risalire al momento ideativo, il commento di Poletti apre uno squarcio anche sul funzionamento sintattico, poiché il senso che sfolgora nel singolo vocabolo si innesta in un tessuto sintattico di paziente intreccio: simile a un nido formato da materiali non omogenei, disarticolati, spuri che eppure, al fine, vanno a formare un’unità poetica.

Inoltre,  l’accostamento di vocaboli che apparentemente nulla hanno in comune è il viatico che introduce l’ossimoro, il paradosso, l’onirico, in parallelo con la ricerca surrealista, mostrante che le connessioni nascono dai registri più vari, assonanze, casellari rigidi o disordinati, similitudini o divergenze, non solo reali, ma anche inerenti esclusivamente all’area linguistica. In ogni caso, la ricerca di Poletti segue la scia degli studi foucaltiani in cui le pratiche si succedono senz’altro fondamento che il loro uso.

Siamo in presenza di una struttura poetica con fori ora più fitti e piccoli, ora più larghi e radi, di discontinua consistenza e sovrapposizione, la quale determina  una ulteriore differenza nella lettura, tattile differenza diremmo, e che corrisponde ai punti in cui è più manifesto il riferimento al linguaggio anziché al corpo, a ciò che ha una materia o non ne ha affatto. Alle zone testuali che si riferiscono al materico corrisponde una spiccata attenzione ai valori estetici e percettivi, subito riequilibrata dalla sua assenza nelle zone in cui il linguaggio esclude riferimenti concreti.

Achiria II


Non tagliare il pollice serve a far scivolare
l’occhiello nel nodo della stringa.
Dopo le otto ore il rifugio dell’acqua
un alfabeto d’uva passa sulle dita
mentre i formicai stridono sul marciapiede
e gli uteri stremiscono in letti bianchi.
Sotto contraria apparenza i denti
appassiti dietro le labbra dal non detto
un silenzio sperperato nel dire urgente
del respiro gli spazi tronfiano.
Sul pavimento in semina una manciata
d’unghie recise mosaico genealogico
che attende solo l’ora delle pulizie.
Per non cercare la notte nel mattino
discalceato orecchio piede nudo nell’argilla
finché l’ora tiene finché il tempo lo permette.


Ma non esistono cesure nette nel fluire poetico istruito da Poletti: il passaggio tra le diverse zone, se è consustanziale, è anche sempre in evidenza. Una poesia che non teme di scendere in agone e che denuncia mentre propizia, mette in guardia mentre attua, in linea con una poesia che pretende per sé anche il ruolo attivo di strumento conoscitivo.

                                                                               Rosa Pierno


La raccolta “Poesie e defixiones” è consultabile sui due seguenti siti:
http://rebstein.wordpress.com/2013/01/30/immarcescibile/

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