Gio Ferri, con la raccolta Primato della parola, Signum Edizioni
d’Arte, 2001, (con sette disegni di Ruggero Maggi), non mostra la volontà di narrare: la sua è una
dichiarata azione di recupero, citazione vivente, carne viva della parola letta
e riproposta e, insieme, volontà di annunciare, ancora, della parola, la sua
sfuggente opposizione a qualsiasi cosa voglia recintarla, sia canone sia teoria
critica o linguistica. Nella forma messa a punto è presente una certa sinuosità
labirintica che consente di leggere il testo come si vuole. Il lettore può seguire
lo svolgersi della poesia linearmente, seguendo la riga, o accettando la cesura
che si propaga in tutti i versi e che finisce con lo sdoppiare la
consequenzialità testuale. Certo, in questo modo ci sono attributi che non
collimano con i sostantivi, ma non è certo esperimento che intralci la lettura.
In questa strana matrice si può alfine entrare da qualsiasi lato, anzi, dopo
averla letta in maniera sequenziale, viene naturale ricominciare nel modo in
cui più aggrada. Di lato, a metà, dove il lettore più si senta attratto dal
tentare, accentuando così la già ricca polisemia del testo. Di fronte alla
pagina ci si sente come dinanzi a una grande carta da gioco su cui ci si possa fisicamente
posizionare. Siamo forse andati troppo avanti, attratti dall’elemento ludico e
sonoro delle parole che ha in realtà guidato questa esplorazione iniziale: i
lessemi, la ritmicità sono quelle dell’Ariosto e di certa prosa secentesca: si
pensi al grande Daniello Bartoli da cui ha attinto anche il Leopardi.
bugiarde si fanno e distoniche sensazioni
indicano sensi le simboliche metafore
e misure attese ribadiscono alle cure
stanche e stolte di nevrotiche esaltazioni
le guardinghe iniziazioni stentate passioni
nullità allora s’esprime e nulla s’imprime
i linguaggi van sperduti tristi omoteleuti
disattese melodie povere d’acuti
versificazioni soporifere e stantìe
le mistìfiche malìe svolano quantunque
le disutili risposte così come ovunque
le spastiche spore le isteriche impotenze
Tale ariosa sonorità, impianto fresco
e leggero e diversivo, frastagliato e ricomponibile a oltranza è davvero un’ode
alla letteratura italiana! Ferri vi
innesta, inoltre, un traliccio che serve da aggancio al contemporaneo e che è costituito
da alcuni riferimenti a posizioni critiche maturate nel secolo scorso: il che
non per arricchire un senso che altrimenti si stenterebbe a rassodare, ma per
balzare agli odierni problemi che ruotano intorno al linguaggio. Impalcatura che
larvatamente, appena un fantasma, fa riferimento alle letture strutturaliste e semiologiche,
le quali, messe a confronto con quanto il linguaggio può fare, e naturalmente in
confronto alla poesia, appaiono come limitate e ristrette.
insensati sensi manierate convenzioni
moti in giustificativi etiche fumose
astruse tensioni e dimentiche visioni
àstie e rinvenute inappetenze scadute
immalinconìe maligne interstardate e inani
si divergono le mani nei gesti insani
simboli adusi i stanchi miti consunti
le deboli tesi ai vocabolari appese
artefatte
pose quando la parola invece
‘sì
libera e forte in sé trascina la sua
sorte
si rivela prolifica ai sensi vigili
sdogana
sigilli dal nulla esplode
lapilli
Inno, dicevamo, alla poesia, tracciante
una circonferenza che va dalla libertà
che il linguaggio consegna – valga come esempio paradigmatico il problema
che Celan ha voluto affrontare e il modo in cui lo ha magnificamente risolto,
proprio quando si credeva che il linguaggio, limitato, non avrebbe nulla
concesso all’espressione delle più inaccettabili esperienze umane – all’aspetto
ludico della poesia, troppo forzosamente separato dalla conoscenza per essere
pienamente centrato!
Non si dirà mai abbastanza che la
specificità della poesia è tale che non può ridursi al metalinguaggio, al
linguaggio della filosofia. Con la sua forza eruttiva non solo apre squarci non
riducibili alla sua sistemazione teorica, ma addirittura brucia il concetto di profondità temporale agglutinando
passato e presente nel medesimo lasso di tempo, come d’altronde accade in tutte
le forme artistiche.
I testi poetici della raccolta
indicano tutti che la tradizione è forza viva, sempre capace di rinsaldare col
lettore un patto di necessità.
perciò m’ingegno entro la mia gabbia
chè sabbia della svenevolezza
si riproduce in rabbia e durezza
vince disfarsi della vecchiezza
appare di metro antico eppur
quel che dico fluisce nell’intrico
tanto che il segno costringo a dire
la prima natura quando al grido
al canto non s’opponeva usura
della vita pur sempre avea cura
la parola all’ossessione imposta
mai forniva strumentale risposta
E, dunque, se proprio una dichiarazione
di poetica deve essere, non può che riguardare il valore primigenio, creativo
della parola, la sua capacità di non subire usura se non quella che riguarda l’incomprensione
della sua vitalità. Insomma, nelle poesie che Gio Ferri ci consegna, con la sua
consueta grazia e infinita cortesia, ci sono innumerevoli spunti di riflessione
e momenti di godimento, offerti contemporaneamente al piacere, all’intelletto,
all’emozione.
Rosa Pierno
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