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martedì 12 giugno 2012

Peter Burke “Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini” Carocci, 2011

L’uso delle immagini da parte di uno storico presuppone una specifica preparazione al fine di non cadere in errori d’interpretazione del dato visuale. Si può dire che il libro di Peter Burke “Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini” Carocci, 2011, sia un manuale per mettere in guardia lo storico da errate interpretazioni di oggetti solo apparentemente di immediata comprensione. Pur preferendo un metodo morelliano (analisi dei dettagli) e iconologico-iconografico, Burke è sempre molto attento nel tentare di spiegare in che cosa effettivamente consistano tali metodi interpretativi e soprattutto nel mettere in evidenza i loro limiti.

In particolare, Burke spende molto all’interno della sua esegesi per mostrare come la lettura delle immagini senza filtri e senza la necessaria preparazione, restituisce proprio il contrario di ciò che contengono. Lo storico offre, perciò, non soltanto una vasta panoramica sulle metodologie utilizzate per la lettura delle immagini, ma ne mostra anche gli aspetti fraintendibili: fornisce le griglie concettuali di riferimento ed esempi e temi di applicazione: dal paesaggio, agli interni domestici, dalle trasformazioni sociali e politiche alle trasformazioni culturali, poiché ciascun tema determina caratteristiche precipue che necessitano di adeguati strumenti interpretativi.

Resta un fatto incontrovertibile che Burke si schieri decisamente a favore dell’utilizzo delle immagini per il resoconto storico, in contrapposizione a una avversa fazione che ritiene invece che le immagini non forniscano alcuna informazione aggiuntiva a quanto si evince normalmente tramite i documenti non visuali. Anzi, Burke mostra numerosi  esempi in cui le immagini sono state importanti: in fondo, esse consentono di penetrare in un’epoca con lo sguardo. Levando loro la tara dell’interpretazione del dato già operata dall’artista che ha prodotto l’immagine, del messaggio volontariamente veicolato da esse e della capacità di lettura dell’immagine da parte dello storico, l’immagine presenta, peso netto sulla bilancia, una mole di informazioni che riguardano la restituzione di ciò che, appunto, altri documenti non sono in grado di fornire, “in quanto esse integrano”, oltre che confermare, ”le prove provenienti dai documenti scritti”.

Uno dei cardini problematici dell’uso delle immagini in ambito storico risiede proprio nella riduzione dell’immagine a testo: “Il difetto dell’approccio strutturalista consiste nella propensione a ritenere che le immagini abbiano un significato, che non ci siano ambiguità, che l’enigma abbia una sola soluzione, che esista un codice da decifrare.  Il difetto dell’approccio post-strutturalista è quello inverso, la convinzione che qualsiasi significato si attribuisca a un’immagine sia valido quanto qualsiasi altro”. “Tuttavia si potrebbe ragionevolmente sostenere, tanto contro gli iconografi quanto contro i post-strutturalisti, che il significato delle immagini dipende dal “loro contesto sociale”. Intendendo con quest’ultima espressione la cultura in generale, “le precise circostanze in cui l’immagine è stata commissionata e il suo contesto materiale”.  

“Le immagini non danno accesso direttamente al mondo sociale, bensì alla visione che di quel mondo hanno i contemporanei”, né “gli storici possono permettersi di dimenticare le spinte opposte che muovono chi realizza immagini e si trova a rappresentare un mondo ora idealizzandolo e ora mettendolo alla berlina. Essi devono affrontare il problema di come distinguere fra rappresentazioni di ciò che è tipico e immagini di ciò che è eccentrico”. La documentazione visuale, realizzata o meno con intento testimoniale, si rivela così documento esso stesso, partecipante a tutti gli effetti alla ricostruzione dell’affresco di un’epoca, anzi la sua perdita costituirebbe la scomparsa di informazioni non altrimenti recuperabili. Inoltre, Burke entra nel vivo della polemica tra gli schieramenti critici che parteggiano per alcuni metodi anziché per altri, evidenziando che, al posto della loro contrapposizione, molto più utile risulterebbe dominare tutti i metodi possibili per far parlare le immagini, potendo verificare, così, su più fronti, tramite i diversi punti di vista determinati dalle metodologie, i risultati ottenuti. L’ultimo capitolo, infatti, riguarda proprio la raccomandazione di un approccio multidisciplinare, che in fondo è quanto ci si dovrebbe augurare anche da uno storico dell’arte. 

                                                                                                        Rosa Pierno

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