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sabato 13 agosto 2011

Édouard Glissant “Poetica del diverso” Meltemi,1998

La necessità di difendere o promuovere un particolare tipo di cultura (la creolizzazione) è azione in sé positiva, ma quando per raggiungere l’obiettivo si trancia ciò a cui essa si opporrebbe, fatichiamo a essere sostenitori di tale lettura. La creolizzazione, che  Édouard Glissant   vede come fenomeno emergente e importante nella società e nella cultura contemporanea - formalizzata da quella  popolazione africana portata a viva forza nei territori in cui serviva manodopera  e che non è riuscita a portare con sé nemmeno la propria lingua (poiché gli schiavisti stavano bene attenti a separare gli individui di una medesima etnia affinché non potessero comunicare tra di loro) - e che identifica come cultura aperta, diversa, poiché è entrata in relazione e ha trasformato la cultura in cui si è innestata, viene da lui posta in contrapposizione alla cultura occidentale che ha fatto dell’unità e dell’individualità la propria forza. Naturalmente, l’invito ad aprirsi al diverso di Glissant è rivolto a quelle culture che rifiutano l’altro: è un invito all’integrazione, all’accettazione della diversità come complementarità, il quale, certo, è invito sempre da accogliere, ma se, appunto, lo si intreccia a una critica in cui si profila una controparte da combattere rispetto a cui l’altro designerebbe tutta la positività possibile, ecco che sorgono in noi alcune perplessità, poiché oggi, dopo tanti studi straordinari sulle relazioni complesse tra sapere e potere  ci sembra inefficace ritornare agli schemi basati su coppie oppositive, le quali eludono proprio la molteplicità che si vorrebbe salvaguardare.

Glissant tende a disegnare due entità che si fronteggiano: disegno che, appunto, non crediamo sia adeguato nel rappresentare correttamente le forze in gioco. Come non si dà una cultura creola che si autocrea, che non assorbe e non modifica gli elementi che preleva dalla cultura in cui opera, allo stesso modo non si dà una società che non si lasci trasformare dagli elementi con cui viene a interagire seppure in maniera marginale o addirittura per sue sole spinte endogene. La semplificazione operata da Glissant crediamo sia controproducente perché crea imprecisioni: tra le altre, si pensi alla sua spiegazione di una cultura come aperta perché nata sull’oceano e di un’altra chiusa perché nata nel Mediterraneo. Nonostante Glissant sappia che lo scambio, la relazione, l’ibridazione tra culture diverse siano fenomeni ricorrenti nella storia delle società umane, pure egli vuole enfatizzare il fenomeno della creolizzazione come se fosse straordinario per importanza e dimensione, il solo che renda possibile la difesa di tutte le lingue del mondo,  incluse quelle marginali e in via di sparizione. Per completare la realizzazione delle spinte che provengono dalla creolizzazione, Glissant invoca  una scrittura che tenga conto di tutte le lingue del mondo e proclama la necessità di un idioma multilingue, anche se all’interno di una lingua specifica, e di una modalità che ”accordi la scrittura con l’oralità e l’oralità con la scrittura”.

In ogni caso, senza voler entrare nel merito di alcuni passaggi di tipo utopico che sono presenti nella visione  di Glissant, quando egli specifica: “Oggi le regole non vengono più stabilite in base all’antico diritto  universale, ma rispetto all’intrecciarsi delle relazioni”, è immediato per noi rilevare che questa lettura dipende da un mutamento nel nostro modo di considerare la società e non da un cambiamento nella società, su cui invece lui insiste. Per Glissant tale modalità relazionale è un fenomeno nuovo, non constatando che è già insita nell’uso che facciamo della lingua a prescindere se essa sia praticata in un società atavica o creola. In questo contesto, credere che la coscienza diversa che oggi i popoli avrebbero, consistente nel non dare più credito all’essere ma al divenire, non uscendo mai Glissant dalla filosofia (o meglio da un filosofia che non smette di impartire regole astratte, metafisiche, universali ai processi storici) ci pare anche contraddittorio col suo stesso appello utopico all’eliminazione dell’”assoluto ontologico”.

Rosa Pierno

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