Gilles Clément nel saggio “Il giardiniere planetario” 22publishing, 2008, approfondisce alcune questioni che aveva appena sfiorato nel suo “Manifesto del Terzo paesaggio”. Vi è innanzitutto la designazione di un insieme formato dagli appassionati di giardini, siano essi giardinieri, visitatori, lettori di libri sui giardini. E da questo insieme Clément rileva che sono quasi totalmente escluse le specie animali e vegetali mobili (gli uccelli, gli insetti, i semi, i funghi, ecc.) contro le quali anzi si scatena la guerra del giardiniere. A partire da questa considerazione, Clément ha voluto verificare con la propria esperienza se era invece possibile costruire un ambiente di scambio giardino-natura dove “riappacificarsi con una fauna così a lungo perseguitata”. E il racconto che segue è appunto quello relativo all’esperienza di un campo abbandonato e di una casa da costruire in cui realizzare questa compresenza. Ma nel resoconto di questo esperimento riuscito constatiamo un primo attacco all’estetica: “Considero un successo, non tanto l’opera dell’architetto nella disposizione delle forme, l’equilibrio delle ombre e delle luci – per queste cose non ho giudizi da esprimere – ma il vedere tutta una vita salvaguardata”.
L’altro insieme riguarda i traghettatori, ossia gli insegnanti, i filosofi, gli scienziati capaci con il loro entusiasmo e la loro passione di insegnarci a vedere le cose e a considerarle in maniera diversa: “Divulgare non è snaturare il sapere per renderlo volgare, ma formulare in termini semplici l’avventura complicata del nostro pianeta e dei suoi abitanti” ove “tenere i cittadini lontani dalle verità è più pericoloso che avvicinarveli”. Clément sposa la tesi lamarckiana relativa all’uomo che rende sterile la terra che abita e lavora alla propria distruzione, ma che diversamente dalla tesi darwiniana (i più forti vincono), lascia aperto il campo del possibile: “Nel corso della sua vita l’essere - sia vegetale che animale - può modificarsi”. I vegetali, ad esempio, hanno la capacità di modificare il proprio genoma nel corso della loro esistenza: “gli OGM in sé e la loro meccanica fanno parte dell’evoluzione”, quindi “il problema non è la manipolazione ma l’orientamento antropocentrico impresso alla modificazione genetica e l’uso che se ne fa”.
La proposta di Clément riguarda la trasformazione del giardino in giardino planetario, il quale è privo delle concessioni fatte alle regole dell’arte dei giardini. Il Giardino Planetario “valorizza la diversità senza distruggerla”. Se in passato il recinto del giardino ha protetto la flora nutriente e ha sviluppato l’arte della disposizione, esprimendo la propria eccellenza attraverso l’architettura e l’ornamento, oggi questi criteri non bastano più. C’è bisogno di una nuova estetica i cui fondamenti si basino “su una griglia di lettura offerta dagli scienziati e non dagli artisti”. Qui Clément rovescia il rapporto tra ecologia ed estetica, in un modo strumentale e riduttivo. Egli si scaglia contro tutte le regole che il progettista deve utilizzare (regole di sicurezza, di progettazione) e contro tutti i comportamenti dettati dalla moda. Critica l’arte in generale, in quanto utilizza quella materia inerte uscita dall’industria, la quale prevale sulla massa vivente, poiché è con l’utilizzazione-sfruttamento che ha inizio la distruzione: “I veli oscuri dell’estetica e della morale si sono abbattuti sulla spazzatura e il compost è stato relegato in fondo al giardino, mentre dovrebbe trovarsi al centro” in quanto fonte di energia.
Ma vediamo come vi viene articolata la definizione di giardino planetario rispetto al giardino tradizionale: “L’estensione del concetto di giardino all’intero pianeta suggerisce che tutte le tecniche agricole rientrano nel campo di un giardinaggio planetario” e, inoltre, “Il “giardinaggio”, espressione di diversità culturale, minaccia o protegge la diversità naturale a seconda dei metodi impiegati”. “La Natura, imbrigliata nel reticolato ideologico proprio di ogni cultura, paga un tributo tanto più pesante quanto più il sistema culturale fa dell’uomo il padrone del Cosmo”. Ed è la comparsa dell’ecologia che ha determinato la possibilità di questa svolta: “la Terra presa come territorio riservato alla vita è uno spazio chiuso, limitato dalle frontiere dei sistemi di vita (la biosfera). Insomma, un giardino”. Gilles Clément oppone il giardiniere al progettista poiché afferma di avere personalmente esperito l’immenso disaccordo tra l’attitudine naturale delle specie a svilupparsi e il nostro desiderio di “abbellire” e, dunque, è “Impossibile conciliare le due posizioni finché rimaniamo abbarbicati ai canoni estetici dell’”arte dei giardini”. Anche se Clément ha affermato che l’arte dei giardini è per lui il segno ideologico del potere, a noi pare inutilmente persecutorio scaricare tutte le colpe sull’arte dei giardini, se il vero problema è invece il modo in cui utilizziamo e sfruttiamo la natura. Non siamo pura esistenza e innescare una lotta con i criteri estetici per privilegiare esclusivamente quelli ecologici non è costruttivo: non si devono ridurre i nostri strumenti culturali, ma è necessario accrescerli. Spesso, anzi, è proprio l’eliminazione di ciò che ha valore estetico a costituire la porta d’ingresso alla distruzione e alla mancanza di cura, allo sfruttamento e alla mercificazione.
Rosa Pierno
Grazie per la segnalazione di quest'opera di Clément! Da due anni mi prendo cura di un giardino, che per alcuni è bellissimo, per altri selvaggio e pieno di verde da tagliare. Per me è un'esperienza profonda, in quanto quotidiana, con la vita e la morte, il decadimento e la bellezza. Da un giardino perché sia "bello" bisogna continuamente togliere segni di morte, eppure è la bellezza della natura che contempla la morte in modo rappacificato. La riflessione che mi sembra apra Clémant sull'"abbellire" e "il valore estetico" che l'uomo riversa alla natura mi incuriosice. Grazie. eko.
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