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giovedì 21 aprile 2011

Marcelo Salvioli "Monumenti e teche"


Con un griglia di segni che intercetta luce accecante e catramosa ombra, Marcelo Salvioli, artista argentino, affronta monumenti antichi grondanti di storia. Ma il pettine di segni con cui l’artista costruisce tali apparizioni  è contemporaneamente anche ciò che rende instabile l’immagine appena riportata alla vista.  In questo incessante battere di un concettuale pendolo tra i due estremi, si situa la particolarità dei disegni a carboncino di Salvioli. Il riferimento alle incisioni di Piranesi, che immediatamente vengono alla memoria, è di fatto subito liquidato da questa forte polarità a cui i disegni danno luogo: liquidità e instabilità che in alcuni fogli è accentuata fino alla colatura, fino alla sparizione: i segni dapprima si sovrappongono e poi effettuano la cancellazione di quelli sottostanti, il disegno pare effettivamente muoversi sotto la pupilla accentuando lo stato di passaggio, quasi si trattasse di due immagine diverse dello stesso monumento di cui sia visibile la sostituzione di un fotogramma dopo l’altro, come in una proiezione filmica. D’altronde, è il monumento stesso che a cagione della sua fragilità si sfalda attraverso il segno, si apre come se il terreno gli smottasse al di sotto, anzi alcuni sono “ripresi” proprio durante il crollo, attraverso la straordinaria capacità del segno in Salvioli di farsi puro moto. Oppure il crollo è immaginato a partire dai gradi di libertà della materia sottoposta a forze motrici. Materia qui, e ritorniamo alla luce e all’ombra, non è più marmo, non sono più le erbacce che sono cresciute sulle trabeazioni, è proiezione fantasmatica.       

Ma anche un altro effetto si può notare in questa serie di disegni: ad esempio, lesene e capitelli in un interno sono tracciati con un grigio illanguidito, mentre colonne e pinnacoli in primo piano stanno crollando e sono resi con un forte tratteggio che riesce a imprimere una percezione volumetrica al disegno. Il che può essere anche un modo per portare in secondo piano gli elementi meno importanti, quelli, cioè, che hanno una funzione percettiva secondaria nell’attenzione, mentre gli elementi tratteggiati col nero acquistano un maggiore peso, a tal punto da far crollare il monumento che li regge: quasi una sottolineatura della funzione preponderante dell’ornamento.  

Salvioli rende il suo intervento sempre più sfigurato, nel tentativo di saggiare la resistenza del monumento nella sua capacità di restare riconoscibile per noi, quasi di essere un archetipo: scolpito nella nostra retina a prescindere. E’ il ruolo della cultura come elemento talmente connaturato da divenire naturale. E per questo siamo indotti a riconoscere nei segni rossi ciò che connota l’organicità del monumento, vene e arterie, le quali vengono alla luce, proprio mentre gli elementi del monumento si spezzano crollando a terra.   Non distanti dai discorsi che siamo venuti intessendo fin ora, sono anche quelli inerenti alla serie di disegni afferenti alle teche, contenitori devozionali in cui venivano racchiusi per preservarli il presepe o la statua del santo. Per Salvioli, non pare interessante individuare il contenuto: vi è un ammasso di coagulati segni che valgono per se stessi, non solo in relazione a presunti oggetti preziosi. Importa solo il simbolo del contenitore, la sua funzione di memoria, equivalente a quella che potrebbe avere una biblioteca, ma in cui, questa volta, sono le immagini gli oggetti da sottoporre a culto. Una teca può contenere a sua volta un intero monumento e garantisce la sua organica persistenza nella nostra mente.

Rosa Pierno

Le opere di Marcelo Salvioli, insieme a quelle di Simon Edmondson,  si possono ancora vedere presso la galleria Spazio Nuovo, Roma, fino al 30 giugno.

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