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sabato 16 aprile 2011

Inediti da “Vulnus” di Francesco Marotta

Scavare nella scrittura non può che restituirne i segni più superficiali. Non esiste un fondo della scrittura come pure della necessità di scrivere. Tutti i segni sono gettati sulla tavola, li si può scompigliare e con essi ricostruire un’altra conformazione: resterebbe comunque enigmatica scrittura, con cui eppure si può dire l’intero mondo facendolo risplendere con nuova evidenza. E’ questo il caso paradigmatico esemplificato dagli inediti  versi di Francesco Marotta tratti dall’opera “Vulnus”- ancora in fase di stesura - ove la scrittura si trova contrapposta all’oblio in cui ci troveremmo senza di essa. Il poeta viene alla luce su un foglio di carta e percepisce il nulla attraverso lo scolorire dell’inchiostro.  Mondo è scritto, disegnato, e paesaggio è funzione della luce, ma è foglio che si anima, da cui si leva concreto silenzio, da cui emergono trine di  materie dalle quali originerà il mondo, in un inverso processo.


11.
si perde in sabbiose minuzie
in un vociare stento di clausura
che non basta la vita a definirne
il senso la grammatica visibile
dell’esistente eppure quanta anagrafica
purezza cova l’imperfezione
che rileggi materna lo sghembo
tenace ornamento che ricopre
a malapena la lesione del ventre
la cicatrice sepolta nel bianco
del foglio lo smorire dell’orma
l’inganno senza memoria della riva

14.
un cerchio di umori
il rarefarsi della luna su un paesaggio
di resti cui manca l’afflizione dello sguardo
il permanere nel punto estremo
dove l’ultimo refolo di luce
ammanta la maceria di miracolosi
risvegli sarà questa leggera
vigilia di attimi inudibili
il rovescio che a volte germoglia
da umbratili congiunzioni di polvere

16.
la chimica dei passi
la musica che serra orme in un intrico
di curve e forme in fuga lo spazio
severo incorniciato da pietre
di confine l’ultima possibile nascita
d’indivisa appartenenza
dove si apre il passo e il corpo
è acceso dai suoi mille nomi
resina e respiro in fiamme irreparabili


Francesco Marotta (1954). Tra le sue pubblicazioni in versi: Le Guide del Tramonto (1986); Memoria delle Meridiane (1988); Giorni come pietre (1989); Alfabeti di Esilio (1990);  Il Verbo dei Silenzi (1991); Postludium (2003, Premio “L. Montano”); Per soglie d’increato (2006); Hairesis (E-book 2007); Impronte sull’acqua (2008, Premio "R. Giorgi"). In antologie ha pubblicato le sillogi Creature di rogo (1995), e Notizie della Fenice (1996). Gestisce lo spazio web http://rebstein.wordpress.com/

4 commenti:

  1. libro dal titolo doloroso, col suo versamento incontenibile di grammatica e sangue, di parola e corpo, feriti entrambi e come mossi dalla marea sulla battigia della vita.

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  2. Grazie Rosa, grazie Stefano.

    Quando si incontrano "lettori" come voi, vuol dire che in fondo valeva la pena di consumare trentacinque anni della propria vita a scrivere.

    Quando questi "lettori" sono anche amici, incontrati sulle strade della scrittura, vuol dire che la vita stessa (che viene prima di ogni scrittura, sempre) valeva proprio la pena di viverla.

    Un abbraccio.

    fm

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  3. Mia madre diceva: "Chi pensa ferisce sé e l'universo". E' questa l'emozione evocata dai versi, intensi e profondi, tratti da 'Vulnus' di Francesco Marotta. Il mondo, percepito nella sua complessità, presenta spesso aspetti di ambigua bellezza e sofferenze che, per contrasto, non si possono tacere. Eppure avanziamo lo stesso tentando di comprendere, avidamente leggiamo per "r-esistere". Attraverso la poesia c'è poi la condivisione, il salto verso il dominio della parola che finge un intero creato.
    Marotta affascina con l'attuale proposta di poesia: la tragicità del suo vulnus non arresta la ricerca della verità, sebbene nella conoscenza risieda, in certi casi, persino, una delle ragioni di afflizione cosmica. I versi di Francesco sono lo specchio di un arduo equilibrio interiore, guadagnato con saggezza. Scorrono dunque fluidi e lessicalmente prevale il registro alto. In quanto il vulnus è la proiezione della vita e la poesia è il suo Pharmakon assoluto. Marzia Alunni

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  4. Grazie, Marzia. La tua capacità di "leggere" un testo ha la stessa limpidezza e la stessa profondità che sono la sostanza visibile della scrittura di tua madre: una scrittura dalla quale, così come tutti quelli che l'hanno conosciuta e amata, non ho potuto non imparare.

    Ti abbraccio.

    fm

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