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sabato 13 luglio 2024

Rosa Pierno “Le metamorfosi del libro. Dal libro miniato al libro d’artista” Gilgamesh Edizioni, 2024, collana diretta da Carla Villagrossi



 

Il libro è per eccellenza il depositario della memoria collettiva, è uno strumento di formazione e scambio culturale e la disciplina che se ne occupa comprende la sua materialità  (carta, tecniche di stampa, rilegatura), l’attività degli editori e dei librai, il mercato e le pratiche di lettura. I libri che contemplano l’intervento di un’artista, a loro volta, hanno una vera e propria selva di definizioni: libro illustrato, libro figurato d’autore, livre de peintre, libro d’artista, libro oggetto, opera libro, edizione d’arte. L’esplorazione diviene presto perdita dell’orientamento, se non si conoscono le categorie interpretative e tassonomiche che ne dovrebbero circoscrivere i domini o, almeno, far comprendere quei libri che vogliano superarle. Quindi, laddove il saggio Le metamorfosi del libro. Dal libro miniato al libro d’artista, Gilgamesh, 2014, a cura di Carla Villagrossi, ripercorre la storia di codeste definizioni, ciò non accade per amore delle classificazioni, ma per esporre l’ambito storico e culturale in cui esse hanno trovato la loro giustificazione. La mancanza di una classificazione, oppure l’uso dell’etichetta libro d’artista usata in senso generico, ossia anche per i libri illustrati o i livre de peintre, non fa, infatti, che generare confusione. Non è l’esclusivo intervento dell’artista a giustificare la denominazione libro d’artista, poiché essa è nata per indicare un prodotto con caratteristiche precise, spesso legate a una volontà intermediale. Pertanto, è bene delimitare tale classe che pretende, altrimenti, di designare troppe cose, ossia più nulla. 

I concetti così raccolti non sono concetti-categoria; sono contenitori generici, non certo caratterizzati da condizioni necessarie e sufficienti. Non si è trattato di costruire perciò un sistema classificatorio né dell’arte né del libro, pur seguendo le diverse denominazioni del libro, bensì di esplorare, cogliere e registrare le sue diverse forme, porgendo un sostegno per effettuare la loro valutazione. Ciò che conta, alla fine, è sapersi destreggiare nella selva degli esemplari, valutare la loro appartenenza o meno al mondo dell’arte ed essere pronti ad accogliere anche nuove proposte artistiche. 

Prendendo come punto inaugurale del cambiamento, rispetto al libro illustrato o al livre de peintre, il 1960, perché è questo l’anno in cui la pubblicazione simultanea di quattro libri dà l’avvio alla produzione di libri d’artista, si accenna soltanto, nel saggio, ai libri oggetto, considerando che la natura del libro è tradita se l’interesse per il suo aspetto sensibile esclude tutti gli altri. Mediante uno sviluppo mostruoso della materialità del libro, a parere di A. Mœglin-Delcroix, la maggiore studiosa del libro d’artista in Francia, si condanna il libro all’insignificanza del “niente da leggere” e anche del “niente da vedere”: sono oggetti “tutta esteriorità” che serrano il libro, invece di invitare a sfogliarlo; oppure fingono che sia aperto, ma sempre alla medesima pagina, ottenendo così di negare le ragioni stesse del supporto. Dello stesso avviso è M. Butor, per il quale vi è una differenza irriducibile tra i libri e i libri oggetto: questi ultimi sancirebbero l’atto di morte del libro. 

Le relazioni tra testo e immagine costituiscono il punto focale del saggio: esse assumono forme diverse: dai componimenti alessandrini ai calligrammi, dai carmina figurata ai libri miniati, dagli alfabeti figurati ai libri illustrati, dai livre de peintre ai libri d’artista. Se si volesse con un solo esempio far comprendere come il testo non sia sufficiente per esprimere ogni cosa e soddisfare ogni sete di conoscenza basterebbe indicare i trattati di anatomia, gli erbari, i ritratti. Un’essenza vegetale disegnata è immediatamente riconoscibile, mentre una descrizione verbale resta astratta. Le immagini, d’altro canto, non sono strutturate né sintatticamente né semanticamente, pertanto, la loro irriducibile peculiarità non può essere tradotta senza perdite in un altro codice. Se non si parte da questa opposizione, se non si riconosce questa impossibilità di sostituire la restituzione visiva con quella testuale, non si può veramente cogliere il loro apporto specifico. Ovviamente, la relazione istituita dalla presenza di entrambi all’interno di un libro apre a una serie di valutazioni. Lo iato esistente tra ciò che è visivo e ciò che è verbale fornisce un’occasione per arricchire e completare l’orizzonte conoscitivo, percettivo, intuitivo ed emozionale, proprio con l’utilizzo delle due diverse forme espressive. 

Seguire le vicende del libro illustrato e del libro d’artista vuol dire seguire di fatto le vicende dell’arte. Il libro è diverso dalla tela, ha una sua dimensione che non si esaurisce se non sfogliandolo, leggendolo, valutandone la qualità della carta, della stampa, della rilegatura, apprezzandone il frontespizio e il colophon, i rapporti selezionati per l’impaginazione, la scelta dei caratteri e la qualità delle immagini. 

Il saggio inizia con una rapida carrellata sul libro miniato, attraverso la quale si può seguire l’innervarsi di una consistente serie di mutamenti all’interno della relazione visivo/testuale. Il secondo capitolo, in relazione all’operato di Mallarmé, individua le basi teoriche di alcune pratiche che, risalendo dalla cultura ebraica, giungono, attraverso i secoli, a esplicitarsi soprattutto nella scrittura asemica, nell’utilizzo dei vuoti e nell’uso del colore bianco, ma anche nel minimalismo e nell’arte concettuale: elementi presentissimi nel libro d’artista. Il terzo capitolo descrive lo sviluppo del libro illustrato in Francia, alla fine dell’Ottocento, mentre in Europa, nel quarto capitolo, si dispiegano i movimenti del dadaismo, del futurismo e del costruttivismo, i quali danno un forte contributo a una diversa declinazione del libro (libro povero, libro di arte tipografica). Il quinto capitolo tratta delle esperienze italiane, riguardanti sia il recupero dei valori della tradizione sia il tentativo di connettersi con le teorizzazioni più avanzate condotte in Europa. Il sesto capitolo affronta alcuni problemi posti dalla definizione aperta dell’arte, dall’intenzionalità dell’artista e dal genere. Il settimo capitolo affronta la nascita del vero e proprio libro d’artista che si avvale dell’influsso di ulteriori teorizzazioni derivanti dalla linguistica, dall’intermedialità e dal ripristino delle esperienze dell’avanguardia. Percorre la storia del libro d’artista in Italia, dagli anni Settanta del Novecento, l’ottavo capitolo, sottolineando i legami con quanto svolto in precedenza in altre aree geografiche, ma anche indicando i nuovi apporti specificatamente italiani (Poesia Visiva). Infine, il nono capitolo è all’insegna di uno scandaglio delle relazioni che intercorrono tra testo e immagine, ove la panoramica sulle posizioni critiche mostra, oltre all’inevitabile pluralità delle posizioni, la consistenza dei problemi. 

Se si riconosce che il libro d’artista ha voluto sferrare un attacco al sistema mercantile dell’arte, combattere il sistema culturale occidentale nelle figure del Soggetto, della Storia, del Linguaggio, sottrarre al testo la sua capacità di costruire il senso, si deve ammettere che esso è nato in opposizione al libro di lusso. Nel quadro odierno si può affermare che una parte degli artisti più giovani sembra meno interessata alle possibilità del libro in quanto medium (diffusione, circolazione, accessibilità) e più interessata, invece, alla sua sola aura artistica. Per M. Butor siamo all’alba del dopo-libro, ossia nell’era dell’interesse che va soltanto ai libri sotto l’aspetto di opere d’arte; egli è soccorso nelle sue affermazioni da McLuhan secondo il quale un medium che perde la sua importanza sociale tende ad estetizzarsi, ripetendo pregiudizialmente che non si avrà arte se non al di là della sua utilità o malgrado essa. 

Il conflitto tra avanguardia e cultura di massa è stato attuale nella seconda metà del Novecento; oggi sembra, però, che i baluardi delle due fazioni in lotta si siano trasformati. Dopo il postmodernismo si fa fatica a trovare produttori dell’innovazione culturale in contrapposizione a quella che si ipotizza essere la cultura di massa. Con la fine dell’avanguardia, avanguardia e massa non sono più antitetiche: la produzione sembra essere votata decisamente al recupero, alla citazione, al riuso dei materiali storicizzati. Se una storia del libro d’artista appare possibile fino agli anni Settanta, già a partire dal 1980, la produzione di libri contenenti immagini di artisti prolifica, seguendo i percorsi estetici di ciascun artista. 

Oggi, che l’etichetta libro d’artista è usata impropriamente per tutti i libri in cui è coinvolto un artista, è apparso prioritario ripercorrere le tappe fondamentali dell’uso della forma libro per ristabilire non solo la ricchezza della relazione metamorfica tra testo e immagine, ma, soprattutto, per non dismettere alcune differenze inerenti alle ragioni classificatorie e non obliare la specificità delle arti, concetto ineludibile dal quale osservare la molteplicità delle loro relazioni. 


Rosa Pierno