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lunedì 15 novembre 2021

“La poesia visiva come arte plurisensoriale. L’olfatto”, Fondazione Berardelli, Brescia, progetto di Lamberto Pignotti, a cura di Alice Valenti. Dal 6 novembre 2021 al 22 gennaio 2022


 

La seconda mostra dell’articolato progetto ideato da Lamberto Pignotti, La poesia visiva come arte plurisensoriale. L’olfatto, che interpreta anche <<l’interrelazione sensoriale di vista e olfatto>>, si svolge presso la Fondazione Berardelli, a Brescia, dal 6 novembre al 22 gennaio 2022. La Fondazione ha la finalità di far conoscere il movimento artistico della Poesia Visiva, attraverso l'organizzazione di esposizioni, incontri, seminari e la pubblicazione di monografie: la sua sede è costituita da un ampio spazio espositivo, sviluppato su due piani, e da una biblioteca avente più di 6000 volumi, consultabile on-line e aperta al pubblico. Il patrimonio della Fondazione è costituito da un’ampia collezione di opere di poesia visiva e  poesia concreta.


Il progetto La poesia visiva come arte plurisensoriale ha avuto inizio nel 2020 con una prima mostra avente come obiettivo la rappresentazione dei cinque sensi. Il ricchissimo catalogo dell’attuale mostra è dedicato all’olfatto e illustra l’ampiezza e la profondità del lavoro dei cinquantatré artisti che hanno affrontato il tema, sfuggente e aleatorio. Secondo Wittgenstein infatti, nulla possiamo dire del nostro stato interno; non siamo in grado di dire con precisione quanto di ciò che viviamo sia frutto del solo dato sensoriale, percettivo, immaginativo, intuitivo o razionale. Cosicché cercare di afferrare il gusto di qualcosa che abbiamo assaporato od odorato, le caratteristiche di ciò che abbiamo toccato sembra davvero un’azione che scavi nell’ineffabile, e maggiormente poi quando i dati sensoriali si presentano assieme. Pur tuttavia, il progetto a cui la Fondazione si è dedicata è votato proprio alla ricerca di un trofeo così difficilmente registrabile.


Alice Valenti, che ha curato la mostra, segnala che <<I visitatori osmonauti attraverseranno un sentiero fatto di atmosfere odorose, metaforiche o annusabili, creando percorsi-incontri di senso “a naso”>>. È proprio sulla parola senso che va a concentrarsi l’attenzione in codesto progetto, perché il desiderio di descrivere ciò che appare indistinto è presente in molte opere, così come il desiderio di afferrare anche solo visivamente il prodotto degli altri sensi. È pur vero, però, che le sinestesie, le percezioni aleatorie, difficilmente esprimibili linguisticamente, sono come afferrate e fissate nelle opere di Poesia Visiva e Poesia Concreta, le quali funzionano come piccole trappole in grado di far scattare la morsa che le tiene ferme. In tali opere sono messi a frutto paradossi, giochi, allusioni, rimandi, sostituzioni: il fruitore riesce in tal modo a cogliere quel che normalmente è sullo sfondo e a riportarlo in primo piano. Anche se non si possono predisporre canoniche classificazioni, il senso dell’olfatto sembra essere onnipresente, forse al di là della nostra stessa consapevolezza.


Se passa attraverso la vista, l’odore è solo immaginabile, non identificabile con certezza, ad esempio la foto di una pianta non consente di distinguere il suo odore. Nondimeno se guardiamo qualcosa che non conosciamo, possiamo essere tentati di associargli analogicamente qualcosa di noto, oppure può accadere che se stiamo guardando uno strumento musicale mai visto prima non riusciamo ad associargli alcun suono. D’altra parte, un’immagine potrebbe suscitare un dubbio su quale sia l’odore che potremmo sentire nell’ambiente rappresentato (il profumo di una donna elegante o quello della pietanza che sta mangiando?).


Ci si può chiedere se i colori abbiano un profumo che è attingibile attraverso sinestesie, e tentarle, anziché subirle passivamente. Non lontano è il tentativo di Rimbaud, con Voyelles, nel 1871, di attribuire anche alle vocali un colore, un carattere, né in precedenza quello di Baudelaire con Correspondances nel 1857. Quest’ultimo grazie alle contaminazioni sinestetiche afferra nuovi sensi e modula il linguaggio affinché sia in grado di esprimere tale miscuglio sensoriale. Il capostipite delle ricerche artistiche aventi come tema l’olfatto viene fatto risalire da Melania Gazzotti, che presenta la mostra, a Marcel Duchamp, il quale nel 1919 creò un’ampolla di vetro sigillata contenente aria di Parigi.


In ogni caso, sia basandosi sulle associazioni sinestetiche che si attivano imprevedibilmente mentre si osserva un oggetto artistico (i colori pastello che ci giungono con il loro bagaglio di sapori e di odori) sia facendo affidamento sulla loro presenza reale tramite collage di carte e materiali profumati, si cerca di abbattere la barriera della rappresentazione esclusivamente visiva. Spesso l’alchimia è di casa in queste piccole installazioni, ove, ad esempio, viene distillata una poesia per trarne il suo odore. Nelle opere, l’odore è ancora effettivamente presente per i materiali utilizzati, cera profumata, carta bruciata, polvere di caffè. La lista è lunga. L’olfatto viene convocato sia come personaggio principale, quando si voglia evidenziare l’assurdità della sua elisione, sia come un Godot di cui si attenda ad oltranza la venuta. Metterlo in evidenza, poi, quando compare in sinestetica compagine, non è meno difficile. Si dovrebbe forse ammettere che il senso come il tatto o il gusto sono imprescindibili, anche se il rapporto con la realtà è maggiormente favorito dalla vista, o almeno riconoscere che anche ciò che vediamo è intriso o meglio va in scena con gli altri sensi, inseparabilmente: olfatto, tatto, gusto. La memoria interviene in tutti i processi. Straordinaria è però l’attenzione che questa mostra dirige sui nostri sensi e sul modo in cui li elaboriamo. Perché è possibile farlo: miracolo dell’arte. 


                                                                                           Rosa Pierno







lunedì 1 novembre 2021

Paolo Di Capua “Notte di luna” HD edizioni di Marina Bindella, Roma, 2021

 


La luna, prefigurata da un foro circolare sulla copertina nera di cartoncino ondulato che  lascia intravedere la sottostante carta che già solo per questo appare opalina, lattescente, è l’oggetto della poesia di Vladimir Majakowskij: “Notte di luna” che dà il titolo al volume (impresso a secco con caratteri mobili lignei). Il testo è presente nel libro d’artista, oltre che nella versione cirillica, anche nella versione italiana di Maria Ronacali Doria e in quella inglese di Andrey Kneller. 


Notte di luna


Verrà la luna.

È già apparsa

un po’.

Ma eccola sospesa piena nell’aria.

Dev’essere Dio

che con meraviglioso

cucchiaio d’argento

rimesta la zuppa di pesce stellare.


Le immagini che accompagnano il testo sono di Paolo Di Capua: due stampe a rilievo tratte da una tavola scolpita dall’artista, interpretata liberamente, nella fase di inchiostrazione e stampa, da Marina Bindella, la quale ha anche progettato, stampato e rilegato il volume, il quale è entrato così a far parte delle sue edizioni HD, dedicate a Helena Dalhoff.

Il volume (tirato in trenta esemplari) si presenta, in omaggio all’attività prevalentemente scultorea di Paolo Di Capua, come un libro che si apre nello spazio, che dispiega ulteriori forme all’interno del libro. L’immagine della luna, staccata dalle pagine del testo, è costituita da due ali: ripiegandole, si riforma una mezza luna illuminata, completamente bianca, che fa risaltare le tre versioni linguistiche della poesia di Majakowskij. Ma vi è anche una luna che fa capolino, distante e algida, nel buio siderale, rammentato dalle due ali nere della copertina e della quarta di copertina che una volta dispiegata che sia la parte pieghettata appaiono quale nero cosmo che ricolloca il satellite non solo nella dimensione testuale, ma in quella dell’infinito. Microcosmo e macrocosmo si trovano così incantevolmente accostati nelle pagine del libro.


Quando si tratta di libri d’artista, è necessario, ogni volta, andare a scovare, letteralmente ricreandola, la relazione tra immagine e testo, visto che tale relazione non è mai fissata definitivamente, ma è sempre desumibile da un caso particolare. Al modo stesso in cui nessuna poesia è desumibile dall’appartenere alla categoria “poesia”: il suo essere singolare non è eludibile.


Solo osservando un libro d’artista particolare si può desumere quale specifica relazione si pone in essere tra ciò che è visivo e ciò che è verbale. In tal modo si riconosce, nei due disegni che costellano il libro, una luna, mentre si vede il gigantesco cucchiaio che “rimesta la zuppa di pesce stellare”. Poiché un aspetto assolutamente affascinante dell’immagine è che si presta ad assumere i significati del testo. Li assume per contiguità e vicinanza, nel presente caso. Quello che si sarebbe detto essere solamente un cerchio a cui sono sovrapposti archi di cerchio aventi un differente colore e che sono variamente disposti e sovrapposti ad altri e conservanti un rapporto con i sottoposti attraverso la trasparenza di un diverso strato di pigmento, rappresentano in realtà la luna e un gioco di cucchiai stanti ad indicare il movimento dell’utensile nel rimescolìo del liquido lunare. La luce, questo strano fenomeno che sembra  dissolvere la sostanza, in realtà non perde la forma: un fascio luminoso o la sua proiezione su un piano delinea nitide sagome. È in grado di replicare, frangere, dislocare, diffrazionare. Le forme sembrano così apparire come entità puramente mentali. E forse non è questo, anche questo, il mondo delle pure idee?

E la luce non appare più luminosa, assoluta protagonista rispetto al nero inghiottente, rispetto a quell’infinito non immaginabile, nel quale si può porre qualsiasi idea, senza mai saturarne lo spazio? E allora la luna, capovolgendo il libro, appare bianca, ritagliata nella luminosità solare, differita dalla stessa, in quanto essa ci appare solo perché dal sole intercettata. Si può richiudere lo scrigno/libro. Riaprendolo si avranno ancora altri pensieri....


                                                                                        Rosa Pierno