Il profilo di Alphonse Daudet emerge magnificamente dai testi presenti in Cinque racconti, curati da Matteo Bianchi e Carolina Leite, ove l’aggettivazione a profusione, sempre però precisa e puntuale, è ciò che maggiormente rapisce nella tessitura testuale. È dagli aggettivi che zampillano le occasioni metaforiche o comparative. Tutto spostato sul versante letterario anziché su quello realistico, la vita è una trapunta di stelle solo che così la si sappia sentire e vedere. Si direbbe, anzi, che nel rapporto tra figura e fondo sia quest’ultimo ad apparire privilegiato e che in Daudet prevalga la tendenza a riempire di umana partecipazione il mondo. Anche i personaggi sembra siano desunti a partire dall’ambiente, così che grande attenzione viene data alla loro condizione economica e culturale. Lo scioglimento di ciascuno dei testi presenti nella raccolta è risarcitorio, consolatorio, non per conservazione dello status quo, per passività o accettazione fatalistica, quanto piuttosto per non privare gli ultimi del valore di quel poco che comunque gli è toccato in sorte. Per indicare la delicatezza di Daudet narratore, potrebbe essere sufficiente riferirsi al racconto Le stelle, in cui la sensibilità è al massimo grado e si accorda, peraltro, al rispetto per l’altro e alla bellezza. Nei testi dello scrittore francese non si afferma dogmaticamente la concezione platonica, nella quale morale e di bellezza procedono sempre insieme, ma si può scorgere, come attraverso un cristallo, l’uniformità del sentire/pensare, quel loro concorrere all’unisono, o almeno il desiderio di un tale traguardo. Benché, sia più esatto dire che la grazia percorre di fatto tutti e cinque i racconti, divenendo stato di grazia del lettore. Mai in Alphonse Daudet vi è estraneità rispetto all’oggetto narrato, mai vi aleggia quella finta obiettività che allontana qualsiasi esperienza della realtà dalla caratterizzazione soggettiva; anzi, una partecipazione trepidante e calorosa scorre sulla sue pagine con un flusso ininterrotto, tanto da non cedere persino dinanzi alla disgrazia: lo scrittore guarda con commiserazione e comprensione gli eventi e e le vittime.
È con gratitudine che il lettore guarda all’intento dei curatori, i quali, con la loro casa editrice Pagine d’Arte, ripropongono le prelibatezze finite in un angolo dimenticato, grazie alla collana di testi brevi da loro ideata “I fiammiferi”. Testi che, indipendentemente dall’epoca nella quale sono stati scritti, ottocentesca o contemporanea, offrono al lettore favolose visioni, modelli interpretativi e stilistici da cui ripartire e in cui immergersi.
Chi non avesse letto da ragazzino le prodigiose avventure di Tartarino di Tarascona, si è perso ore di puro divertimento e meraviglia, garantite dall’ingenuo eroe provenzale a caccia di leoni in terra d’Africa che riesce a rimediare soltanto la pelle del leone cieco di un circo. Falso cacciatore, tuttavia seguito con affetto e credito indeponibile dal suo creatore. L’umanità e la generosità di Daudet furono molto amate da Proust. Egli fu amico anche dei Goncourt, con i quali fondò l’Accademia Goncourt, e di Zola, il quale definì la sua opera come appartenente al naturalismo, per la descrizione minuziosa di ambienti anche esotici, sebbene Daudet disegnasse i personaggi incontrati nella sua vita con dettagli immaginari e irreali. Fu, insomma, un uomo a tutto tondo e uno scrittore dalla penna felice, grazie alla sua presenza palpitante.
A tratti, affiora dalla mitezza della voce narrante, uno stridìo, qualcosa di inaccordato che ricorda la plumbea atmosfera di Edgard Allan Poe. La maestria con la quale Daudet opera questo sdoppiamento dell’immagine, che però subito dopo ricompone, dà conto dei diversi registri che la voce autoriale può assumere, senza, oltretutto, sfondare le cesure tra generi, cioè restando nei ranghi di un testo canonico, a dimostrazione che lo scrittore, a maggior ragione che se li travalicasse, non può essere rinchiuso in un recinto schematico.
A tal uopo, si rimanda al racconto Wood’s town, dove una foresta, disboscata dall’ingordigia mercantile degli uomini, riprende il suo spazio, avanzando come nel testo shakespeariano; in tal guisa, accampando di fatto il testo tra due autori, non solo tra due generi. Persino l’ironico tono con cui egli racconta un drammatico episodio, ne I canapè, non sfocia giammai in dileggio o in sarcasmo. Se presente, la tragicità emerge solo alla fine di un racconto lieve e cesellato come un arabesco multicolore, come accade nel racconto Il caravanserraglio, ed è mantenuta anch’essa sotto tono, smorzata, suggellata da un pudico riserbo.
Pur anche Andersen fa capolino tra le pagine delicate e vibranti de Lo specchio, in cui una ragazza creola affronta la rigidità di un inverno del Nord.
Amante della letteratura e dell’umanità, Daudet, assieme alla nostra considerazione, rapisce anche il nostro affetto.
Rosa Pierno