Il Dizionario critico dalla poesia italiana 1945-2020 è una cartografia della poesia italiana dal 1945 ad oggi. Ma la definizione non si attaglia al territorio metro per metro, nome per nome. Non è la mappa paradossale di Borges, per cui la cartografia è grande quanto lo stesso territorio. La metafora della cartografia non è adeguata, inoltre, se si pensa alle opere come a qualcosa di fisso. Piuttosto si deve immaginare un territorio in movimento, le cui emersioni hanno confini incerti con affioramenti e sparizioni continue. Dunque, il Dizionario critico della poesia italiana non è un’opera che effettui un resoconto esaustivo, sebbene la parola Dizionario possa trarre in inganno: è certamente una raccolta in ordine alfabetico di poeti visti attraverso la lente dei critici. Aver vagliato duecentocinquanta poeti non può esaudire le occorrenze della poesia italiana nel periodo 1945-2020. È naturale che si sia operata una cernita. Essa non poteva essere effettuata predisponendo un canone, di cui oggi si sopporta malvolentieri l’assunzione, quanto determinata dalla stessa pluralità delle voci critiche, dalla singolare specola di ciascuna posizione. Infatti, porre la questione di un metodo che debba presiedere al resoconto critico equivale a formalizzare una questione errata, poiché qui non sono convocati due o tre i critici, bensì cinquantaquattro, affinché ciascuno schiudesse un precipuo angolo visuale sulla poesia. Il Dizionario critico, in codesto senso, si differenzia da un‘antologia in quanto non vuole produrre un unico cono prospettico, ma fornire un ventaglio quanto più ampio ed esaustivo della produzione poetica. Il volume diviene così esempio di possibilità valutative, di stili interpretativi, di modalità creative capaci di delineare un orizzonte rispetto al quale il lettore è in grado di costruire una personale valutazione sia delle opere poetiche sia delle produzioni critiche.
Ciascun critico ha indicato gli autori da lui ritenuti più vicini alla propria visione e le opere prese nel viluppo del proprio interesse o da riproporre attraverso una rinnovata disamina, indicando le proprie preferenze al di fuori di regole pseudo-scientifiche, che poco dicono sugli orientamenti che continuamente fluiscono e si rafforzano o dileguano, venendo a delineare in siffatto modo una configurazione mobile che non può, appunto, essere imbrigliata. In ciascun critico le scelte di stile e di linguaggio derivano direttamente dall’elaborazione di un metodo spesso non normativo, basato sull’esperienza, inteso a valutare sia le infrazioni rispetto ai metodi canonici sia gli aspetti devianti delle opere poetiche, colte nella loro interna mobilità. Il critico appare fortemente implicato a livello personale. Parlo di una critica coinvolta e coinvolgente, per niente accademica, ma rigorosa, in cui la mole di strumenti utilizzati per l’interpretazione, di approcci, di punti di osservazione e di temi critici valgono da soli a definire il Dizionario critico come uno degli strumenti in cui maggiormente si dispiega la molteplicità delle prospettive esegetiche. L’opera poetica s’incontra così con ciò che alimenta il suo commento. È una critica che non separa teoria da prassi, ma nasce dall’immediatezza sensibile di ciò che è anche fisicamente prossimo.
Le schede critiche, non collegate alla grandezza del poeta ma alla libertà del critico, non sono compilatorie o meramente biografiche, evidenziando una pervicace ricerca delle peculiarità del fare poetico. Anche se si conosce un poeta, pertanto, vale sempre la pena di effettuare la lettura della voce critica, poiché l’indagine fuoriesce dai prefissati binari di opere maggiormente specialistiche. Ancora ribadendo che non c’è una metodologia che debba essere esplicitata quando in un’opera critica ci sono cinquantaquattro critici, segnalo che a valere invece è la pezzatura che ciascun intervento disegna sul territorio, in quanto orienta il lettore verso le potenzialità espressive dei testi, anziché spegnerle.
Credo che sia benemerito colui che si carica delle responsabilità teoriche e comunicative di sostenere la necessità della presenza nella nostra esistenza della poesia e della critica. Se si dice da più parti che solo i poeti leggono la poesia e che la critica non viene letta da nessuno, allora tanto più meritorio deve apparire il progetto curato da Mario Fresa nel quale entrambe s’incontrano in una molteplicità di libere intersezioni. L’intento è di spingere la barca della poesia verso acque navigabili per toglierla dalle secche sempre incombenti del disinteresse. Se il critico è spesso indeciso fra la scelta e la sospensione delle scelte, fra la decisione e l’incertezza, pure, resta il fatto che il Dizionario critico, prodotto storico, è dominato dalla riflessione così come dalle esigenze di un mobile presente. Di conseguenza, la lettura delle opere poetiche dà luogo a impreviste restituzioni, le quali tentano di rispondere a domande cogenti addensantesi sulle pozze della quotidianità alla stregua di miraggi, eppure persistenti. Fra gli obiettivi delle analisi, se vi è quello di stabilire definizioni qualitative, di riflettere sulle condizioni di esistenza e di valorizzazione dell’armamentario critico utilizzato, vi è anche quello di cogliere inveduti rilievi. Non dunque sintesi più alte o una medietà fra diverse posizioni, ma la visione viva del critico su un autore. Il soggetto critico coincide con la propria verità, producendo differenza. E soprattutto lo fa sullo sfondo di essenzialità e cronaca. Come afferma György Lukács in L’anima e le forme (Sugar, 1993) il punto di partenza di un sistema logico è “sempre arbitrario e la sua costruzione è solo in sé finita, mentre sotto la prospettiva della vita è una cosa relativa, una tra le tante possibilità” e ciò vuol dire che l’assoluto, l’univoco “è soltanto il concreto, il fenomeno individuale”.
Il punto di vista soggettivo implicato in una sfrigolante prova al cospetto della singolarità concreta della produzione poetica non ha come guida lo spirito sistematico o un quadro teorico preconfezionato. E dunque non può a questo punto essere elusa la vera natura del Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020, che è quella di tener fede a un compito capitale della critica: selezionare e giudicare i testi da un osservatorio personale e anche in qualche modo ossessivo, poiché l’arte non si esaurisce in un commento.
Un’operazione critica è sempre una mediazione tra un soggetto e un oggetto di conoscenza. Cosicché è normale che si produca una visione parziale. L’analisi letteraria è un intreccio non del tutto razionalizzabile di ragioni, conoscenze, interessi. L’augurio che rivolgo alla poesia è che si moltiplichino le postazioni di osservazione e scrutinio, qualsiasi forma esse assumano, dall’antologia al web, dalla rivista ai saggi critici, poiché ciascuna è preziosa e di nessuna si vorrebbe fare a meno.
Rosa Pierno
Tutta la tua densa analisi, gentilissima Rosa Pierno, è condivisibile. Ma ogni velleità di critica a questa operazione non esaustiva per le varie giuste motivazioni che adduci, cadrebbe se, anzichè mettere il titolo Dizionario a qualcosa che non mette ordine/cataloga, ma solo coglie alcune voci, si fosse messo il semplice titolo:250 voci poetiche dal 1945 ad oggi.
RispondiEliminaOttimo intervento, ricco di acribia e coinvolgente. Il lavoro di Mario Fresa è un impegno certosino che non va sottovalutato, valido per bagagli culturali di notevole spessore!
RispondiEliminaAntonio Spagnuolo