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mercoledì 21 aprile 2021

“Minime circostanze” di Marco Furia. Un soggetto linguistico.

 


La raccolta di brevissimi testi che Marco Furia ripropone in Minime circostanze, Contatti, Genova, 2021, caratterizzati dallo stile  dei suoi esordi, ci pone dinanzi a un soggetto, protagonista di queste minime storie, che si nasconde attraverso un linguaggio impersonale. Il protagonista sembra avere una mano che non gli appartiene: “Percossa, a mezzo ossute nocche della mano destra, verniciata superficie di lignea porta, ottenuto vocale permesso di entrata, superò marmorea soglia”.  L’elisione degli articoli determinativi o indeterminativi, l’uso battente del participio passato, inclinano per un’esposizione oggettiva dei fatti, che sia priva di interpretazione. L’aggettivazione, sempre presente, qualifica la materia degli oggetti in maniera precisa e sintetica. Da questo effluvio impersonale, però a poco a poco viene fuori una persona. Dall’insieme dei singoli momenti si rivela una sensibilità a volte delicatissima, a volte insofferente. Emersione a cui non si può opporre nemmeno lo scrittore.


Sotto la lampada investigativa, il vero oggetto occultato non è in realtà lo scrittore o il personaggio, ma lo stato interno, ossia quell’insieme di sensazioni, emozioni, passaggi fulminei e istinti di captazione che segnano la nostra intera vita, ma che sono difficilmente fissabili; infatti, essi non avendo un contorno preciso, risultano non estraibili dal flusso continuo e robusto della nostra percezione (vista, tatto, odorato, gusto). Ciò nonostante il dare voce a un pensiero, mentre dinanzi ad un ascensore il protagonista si  chiede se sia meglio andare a piedi, palesa che Furia intende esaltare la funzione linguistica come capace di entrare in relazione con lo stato interno e di offrirlo alla comunicazione. Ci rendiamo conto, leggendo, che se non si apre mai una finestra sull’interiorità del personaggio, sui suoi stati emotivi o psicologici, cioè se essi non sono mai descritti con proposizioni che fanno riferimento ad essi in maniera specifica, tuttavia possiamo desumere la vita interiore dai suoi gesti: che sia un moto di disappunto per un’attesa prolungata, per un aggeggio digitale che non sa usare o per avere dimenticato le chiavi, il lettore è comunque in grado di dedurre il flusso psichico dell’agente da codesti elementi.


La loro descrizione linguistica (dei gesti, dei passi, delle cose vedute) consente di cavare una modalità convenzionale per giungere al riferimento dello stato interno, anche se del tutto genericamente. Troppo spesso dimentichiamo che sullo sfondo delle nostre parole, esso resta la referenza inafferrabile. È proprio su questo punto che Furia vuole dirigere la nostra attenzione. Lo fa in diversi modi, anteponendo l’aggettivo al sostantivo, quasi fosse la qualità sensoriale a dominare e, poi, spegnendo l’importanza dell’evento, infilando, cioè, una serie di accadimenti qualsiasi, proprio perché privi di senso in sé, i quali, però, letti uno di seguito all’altro, tracciano in ogni caso, la vita di un essere umano. Non si tratta di epifanie, qui non c’è nessuna rivelazione, nessun senso da estorcere alle centinaia di migliaia di momenti insignificanti della nostra vita, da quelli dall’attesa che, in una sala teatrale, lo spettacolo inizi o della sosta in una  stazione degli autobus o della spesa in un supermercato. Certo, l’osservazione è l’attitudine principale di Marco Furia. Coglie lo sguardo di un cane e si chiede se egli percepisca nel nostro stesso modo oppure si chiede se i piccioni ritorneranno anche il prossimo anno a nidificare sul balcone. Tutte questioni a cui egli non cerca una risposta; tuttavia, aver posto la domanda vuol dire avere veramente osservato le cose, impedendo che esse sfuggano alla nostra condivisione, restituendocele tramite il linguaggio. È questa la parola chiave della raccolta

    

                                                 Rosa Pierno




Estratta da ligneo cassetto


Estratta da ligneo cassetto trasparente busta al cui interno erano custodite alcune cartoline illustrate, compiuta rapida scelta, aprì policroma scatoletta contenente numerosi francobolli.

Acceso personal computer, conosciuto, per via telematica, l’esatto importo dell’affrancatura, indicato, servendosi di penna a sfera, l’indirizzo del destinatario, scritta, nell’apposito spazio, affettuosa espressione di saluto, ripose il rettangolare cartoncino entro capace borsa.

Attento sguardo rivolto a quadrante appeso alla parete avendolo avvertito del fatto che, se avesse raggiunto al più presto non lontana buca delle lettere, la cartolina avrebbe iniziato il suo (non breve) viaggio quello stesso giorno, decise di abbandonare, senza indugio, accogliente alloggio.

Sarebbe arrivato in tempo?




Evitato l’acquisto


Evitato l’acquisto d’elettrico spremiagrumi dalle eccessive, ingombranti, dimensioni, poiché intendeva sostituire analogo, ormai inservibile, elettrodomestico, provò, senza successo, a recarsi in altra (poco fornita) bottega.

Percorso a piedi non breve tragitto che lo separava da ligneo portone, salito fino al proprio confortevole appartamento, raggiunta ampia cucina, estrasse da piccolo canestro due arance che, servendosi d’affilato coltello, tagliò a metà.

Infruttuosa ricerca ebbe a ricordargli d’essersi liberato, anni addietro, di vecchio spremitoio a mano.




Impetuosa raffica

Impetuosa raffica di gelida tramontana avendo spezzato più d’una stecca di pur robusto ombrello, riparatosi sotto ampio portico, inserito alla meglio inutilizzabile attrezzo entro cestino dei rifiuti (buona parte del manico sporgeva in maniera ben visibile), acquistò da provvidenziale ambulante analogo arnese e proseguì il cammino.

Altra folata l’avrebbe investito?

Sì, ma questa volta evitò irreparabili danni compiendo rapida, idonea, manovra: esponendosi alla fitta pioggia, rivolse metallico puntale controvento.



In poco comoda attesa


In poco comoda attesa entro affollato ufficio postale, verificò, ancora una volta, l’esatta compilazione di rettangolare modulo (subito riposto, dato l’esito positivo dello scrupoloso controllo, entro profonda tasca).

Dopo avere riscontrato una trascurabile differenza tra l’ora indicata dall’ampio schermo a disposizione del pubblico e quella segnata dal proprio affidabile orologio da polso, attirò l’attenzione di simpatico cane bassotto trattenuto da lungo, sottile, guinzaglio: avendo mostrato di apprezzare affettuose carezze, l’obbediente quadrupede, a seguito di fermo richiamo, tornò ad accucciarsi tra gli arti inferiori di corpulento individuo indossante vistosa cravatta.

Alzato lo sguardo, osservò nuovamente luminoso pannello che offriva alla vista dei presenti, con chiara iconografia, le previsioni meteorologiche.

Ampia vetrata gli permise di notare come alle pronosticate (abbondanti) precipitazioni corrispondesse un cielo parzialmente nuvoloso: più tardi, forse, sarebbe piovuto?


martedì 6 aprile 2021

Ornella Crotti “Hannah Arendt. La passione del pensare”, Tre lune edizioni, 2004

 



Nel breve quanto denso saggio “Hannah Arendt. La passione del pensare”, Tre lune edizioni, 2004, Ornella Crotti svolge un’indagine sul pensiero di Hannah Arendt, sulla quale negli anni ha prodotto numerosi lavori, e indica non le linee di sviluppo delle riflessioni della filosofa tedesca, bensì la loro estensione, evidenziando anche l’esperienza esistenziale della filosofa tedesca. Per quest’ultima, la propria condizione umana, se è la via per la quale il proprio essere sfugge, al contempo è anche la via attraverso la quale il soggetto appare agli altri. Che la presenza degli altri sia uno dei piloni portanti nella sua elaborazione, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, emerge dalla necessità ineludibile dell’atto del perdono. Esso non è un atto che si esaurisca nel suo accadere, poiché non è una semplice reazione. Si pone sulla scena come evento innovativo e sorprendente.


Perdonare anche ciò che si è rivelato imperdonabile. Tuttavia, è un atto che appare incomprensibile, giacché della natura del male radicale non si sa nulla, pur anche quando lo si è subito. Non solo il male appare inconoscibile; anche l’amore si presenta nella sua estraneità al mondo, come passione che può mettere in relazione con gli altri, così come può anche separare. Il tema è svolto dalla Arendt nella sua tesi di dottorato: “Il concetto di amore in Agostino”. Il forte impatto di queste idee sulla sfera pratica, politica e sociale, oltre che morale è indicata con grande cura dalla filosofa mantovana. 


L’indagine sul pensiero formalizzato è sempre necessariamente anche investigazione sul contesto nel quale agiscono i materiali culturali e che costituiscono l’ambito entro il quale il pensiero si forma. Crotti riporta il confronto che la Arendt attua nel dialogo con una pluralità di voci diversissime, le quali concorrono alla complessità del suo pensiero: Aristotele, Tucidide, Kafka, Marx, Nietzsche, Kierkegaard, Kant, poiché un’idea è sempre da prendere assieme alle altre con le quali forma una costellazione. Crotti delinea, in particolare, sia le relazioni con i maestri della Arendt, Heidegger e Jasper, sia quelle con le fonti greche e latine e le scritture testamentarie e neotestamentarie che costituiscono l’humus del suo pensiero. 


La ricerca della Arendt intorno alla vita del pensiero, il quale si esercita nel mondo delle apparenze, viene principalmente articolata attorno ai due temi del pensare e dell’agire. Socrate è una figura privilegiata in quello che si articola come un vero e proprio raffronto. Sfidare il pensiero, costringerlo ad uscire da se stesso appare come azione indispensabile nel momento in cui si affrontano temi di riflessione che sfuggono alla conoscenza. Un pensiero che si aggrappi alle certezze, infatti, diventa imbarazzante e segna la fine stessa della filosofia.  Crotti segnala la tangenza tra Jasper e Arendt sulla questione della verità, la quale è garanzia della libertà, solo quando essa non conosca le risposte alle domande. La libertà dell’essere umano “trova la sua garanzia nella condizione base della ricerca”. Ed è proprio ciò che si vede nelle lacune tra l’agire e il pensare, poiché non si tratta di colmarle, ma di tenere la posizione.


Nella lacerazione tra passato e futuro si annidano paradossi che sembrano bloccare la praticabilità dei due versanti, così che si deve in qualche modo fare affidamento a “un sapere oracolare che, pur celandosi, indica”. Non semplici dualismi, ma una co-appartenenza, una disgiunzione non operabile, prima ancora che si attivi il tentativo di una sintesi. Anche attraverso le categorie del visibile e dell’invisibile si vede in trasparenza la contrapposizione tra ciò che è azione e ciò che è mentale. L’io pensante appare come quella condizione paradossale che è “condizione ineludibile dell’’essere’ preso di sé”. Crotti insegue con grande duttilità i sensibilissimi scarti che la Arendt fa subire al suo pensiero, rendendo in tal guisa palpabile lo snodarsi tra i meandri delle secche di una ragione da tenere sotto controllo, mentre si deve conservare la plasticità degli oggetti analizzati.


Pensare e agire portano la Arendt ad approfondire anche la contrapposizione tra potere e violenza, ove solo la considerazione della pluralità può diventare condizione basilare della vita umana. La storia non si svolge alle spalle degli uomini, non procede autonomamente, la libertà dei singoli non può essere sacrificata allo sviluppo storico, altrimenti si spezza quel filo, imperdibile, che unisce politica e libertà, non nel senso del libero arbitrio, ma nel senso di una libertà in grado di inventare il mondo.


Rosa Pierno