All’interno del Festival Internazionale di Virgilio, Mantova, quinta edizione, l’11 maggio 2019 si è svolto il Convegno Poetica del sogno con Umberto Bollati, psicoanalista; Luciana Bianchera, psicopedagogista; Giancarlo Stoccoro, poeta e psicoterapeuta; Francesco Stoppa, psicoanalista. Il tavolo è stato coordinato da Carla Villagrossi e Lucia Papaleo ed ha avuto come tema le relazioni esistenti tra poesia e sogno. Se la poesia si generi dal sogno, se condivida con la parte inconscia i materiali costruttivi della propria messa in opera. Una testimonianza del proprio processo creativo, che condivide o preleva dal sogno associazioni, memorie e oggetti mentali, è stata affidata alle voci poetiche di Emanuela Dalla Libera ed Elena Miglioli, che riproponiamo sulle pagine di Trasversale con una breve nota.
Emanuela Dalla Libera
Sogno
Mi piace stare accovacciata
all’ombra di un ricordo
inesistente, riposare nel tepore
di parole mai sentite, confortarmi
di uno sguardo sospirato.
I miei sogni vanno all’incontrario,
disegno nella mente un altro tempo
mai vissuto, nei contorni di una vita
immaginata scolpisco giorni lievi
come il vento che accarezza
le fronde della macchia in primavera,
dipingo di colori sorridenti
il profilo delle albe e delle notti,
suoni sento che il silenzio ha oscurato
e una luce vedo che nel buio stava spenta.
Scordo in essi l’ora amara assaporata
ed il vero che la vita ha butterato,
fingo forme di dolcezza circondate
nell’ombra che disperde i miei frammenti.
Al cielo notturno della mia Maremma
Concedimi un sogno stanotte che da altre distanze
mi parli con voci fiorite, che il calore abbia
dei girasoli nei campi levati alla luce e lo scintillio
festoso del mare abbracciato agli scogli spumosi.
Lascia che nell’amplesso del sonno mi prenda
della luna il chiarore, che Morfeo i papaveri
sciolga sulle palpebre rivolte alle stelle
e dalla brezza mi protegga di un ulivo contorto la pace.
Fammi ascoltare il sussurro dei lecci lungo la costa
dove il vento accarezza i pensieri disciolti
nel molle naufragio del nulla e il rintocco
dell’onda a campanili furtivi di orfane chiese
segna le ore lontane sfuggite all’Erebo cupo.
Un sogno concedimi che rischiari la vita e conduca
la mano dove il tempo non conosce alcun vuoto,
e l’anima riempia di candida quiete
negata al risveglio sul dirupo del giorno.
Il sogno, nelle poesie di Emanuela Dalla Libera, è una visione che sostituisce integralmente quella reale, anzi è una visione sospirata, covata, conservata quanto più a lungo possibile. Che cosa sia possibile operare in tale condizione è presto detto: una vera e propria ricostituzione di sé, grazie alla quale recuperare energie, ridarsi quello che manca, costruirsi risorse suppletive e rimarginatorie. È una poesia-elenco, in cui le voci vengono corredate da una precisa strumentazione d’uso, pena la perdita della capacità sostitutiva di una cosa con un’altra: Dalla Libera vede una luce che nella realtà è spenta, oppure un tempo diverso nel quale posizionarsi, oppure i giorni consueti dipinti da colori inconsueti. Ciascuna cosa viene predisposta per occupare un ordine esattamente inverso a quello relativo all’ambito quotidiano, nel quale l’io, ridotto a brandelli, viene finalmente ricomposto idealmente. Ma la realtà presenta anche un altro aspetto da eludere: il giorno si presenta come un dirupo. Il tempo vi è presente con soprassalti, discontinuità, irrelate contiguità. Il sogno, invocato nella seconda poesia, come una musa da cui attendersi lo stato di grazia creativo che ogni miserevole aspetto tramuti in arte, è un vero e proprio canto, in cui i miti invertono il loro segno, divenendo realtà a pieno titolo. Da Aristotele sappiamo che realtà immaginata è più importante dell’interpretazione storica. Si posiziona, anzi, al primo posto della scala gerarchica per quello che riguarda il valore conoscitivo.
Elena Miglioli
Sogni
Mi sveglio coperta di fiori
fluttuando
a uno scorcio di gondola
per stanze a fil di voce
Stendo sogni su un rigo
verrà l’ora di indossarli
anche vecchi stropicciati:
li terrò per i miei inverni
o per chi non può sognare.
Dal libro ‘Spengo la sera a soffi’, Elena Miglioli (edizioni Ronzani, 2018)
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Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni
William Shakespeare, La Tempesta
Uomini e sogni
Troverò nuovi te
che mi ricostruiscano
adesso che ho perso
il mattone col tuo nome
mi è caduto il cielo dagli occhi
Siamo fatti
della stessa sostanza degli altri
siamo fatti da chi ci ha abitato
da chi ci ha lasciato
la sua scia
partendo per la via lattea
Fabbricanti di uomini e sogni.
Inedito (aprile 2019), Elena Miglioli
Il sogno, nelle due poesie di Elena Miglioli non è l’oggetto sul quale appuntare la propria attenzione per comprenderne i meccanismi, le associazioni, le motivazioni profonde o estemporanee che siano. È piuttosto un ambiente, nel quale vivere, un modo di pensare non soggetto alle classificazioni logiche, almeno non solo razionali. Far conflagrare nella propria realtà - quel quotidiano banale e immotivato da cui si desidera una via di fuga - non sottoposto a regole governabili dal soggetto, un modo diverso, una differente organizzazione dei propri materiali mentali ed emotivi, intrecciando diversi fili in una tessitura che riposa su un piano intermedio, è il punto focale della scrittura della Miglioli. Il sogno, pertanto, si sovrappone alla realtà per arricchirla o deformarla. La matrice, dunque, è una realtà insoddisfacente, con i suoi strappi e le sue lacune, e soltanto il sogno si mostra in grado di restaurare un ordine naturalmente presupposto. È in uno stato di continua creazione, che si potranno afferrare insieme quotidiano e realtà auspicata. Vivendo, si diranno e vedranno cose incompossibili: il pettine della gondola, le voci degli assenti. Ma il sogno ha anche una valenza progettuale, che a una realtà priva di ragioni, finalmente impone le giuste dinamiche e le perfette conseguenze, a un dolore impone un risarcimento e a una stasi assegna una nuova spinta vitale, sostituendo a persone andate persone future, al vuoto un testo.