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giovedì 17 gennaio 2019

Tito Balestra “Se hai una montagna di neve tienila all’ombra” Garzanti, Milano, 1979





Se si può dire di un uomo che egli domina la vita mentre galleggia come un turacciolo alla deriva, allora proprio tale illogica immagine, la quale si forma in noi mentre leggiamo i versi di Tito Balestra, tratteggia la sua visione dell’arte del vivere. Un instabile equilibrio è dovuto ai colpi della vita e a una certa dose di insoddisfazione che spinge a cercare gli aspetti più sorprendenti e preziosi nascosti nelle pieghe dell’esistenza. Così che un uomo possa essere felice, già solo leggendo libri e dedicandosi alla riflessione/contemplazione con un bicchiere di vino, ci indica la perizia con cui tale equilibrio è comunque mantenuto. Tito Balestra ama le cose semplici, sa dare valore a ciascun momento della vita. Tuttavia, essa appare striata da venature di malinconica disposizione. La melanconia fa trapelare anche la noia, poiché nel mondo non vi è perfezione e un animo troppo sensibile non riceve ciò che lo nutrirebbe a sufficienza. Un esteta, Balestra, con una disposizione, analoga a quella mostrata da Rembrandt in alcune incisioni, il quale è capace, con pochissimi tratti, labili e flebili, ma strenuamente ripetuti, per l’incisività del dettato interiore, di trattenere paesaggi pur in via di dissolvenza. Il poeta longianese sa splendidamente tracciare ritratti con un nulla, con pochi attributi, con poche allitterazioni a fare da legante a fatti spaiati, realizzando al contempo anche il suo autoritratto. Incrociando esclusivamente le forme semplici della tradizione, nel suo iter poetico, come gli epigrammi di Marziale, a cui peraltro lo gemella anche la consonanza tematica, e preferendo l’elusione del riferimento temporale, Balestra scrive poesie come se guardasse da un cannocchiale, il quale rende prossimi gli estranei oggetti osservati. In particolare, si noti che gli aggettivi qualificativi, seppur pochi, spesso sono presenti in coppia: “chiari e distratti”, “lunghi e sornioni”, “presbite e curiosissimo”, tutti riferiti agli occhi, o “caldo e cotto”, “indaffarati e stolti” e servono a precisare l’aspetto psicologico delle persone, la loro sfuggente interiorità. “Distratti e meschini” sono i pensieri nella splendida poesia Una voragine il tempo, che dà anche il titolo al libro d’artista di Giulia Napoleone con tre acquarelli:

Una voragine il tempo

Una voragine il tempo
e camminiamo sull’orlo
a passo di ballo, distratti
da cento pensieri meschini.


Il manoscritto della Napoleone contiene anche le due poesie: Mio nonno Eusebio e Oggetto: la via Emilia. In quest’ultima, l’elenco di elementi che si possono scorgere percorrendo la via Emilia si dispiega attraverso la diversificazione del ritmo del verso in relazione all’oggetto descritto, con una chiusa epifanica, rivelatrice dell’antico che sopravvive nel nuovo.


La bellezza è un desiderio tanto costante quanto disatteso per l’insoddisfazione verso se stesso e per lo stato in cui versa il mondo. La vita è “mirabile e scialba”. Tale visione critica viene da Balestra estesa a quanto non corrisponde alla sua visione ideale, come si vede nel brevissimo, fulminante affondo della poesia: “Matematica sembra la tua lingua / poche parole, sempre ponderate / sempre inutili - aggiungo”. È, pertanto, una valutazione che investe la perdita della giovinezza e della prestanza fisica, a cui però il poeta non fa che prestare il proprio fianco, in una sorta di accettazione: non solo per pigrizia, come recita la nota di A. Bertolucci alla raccolta antologica delle sue poesie Se hai una montagna di neve tienila all’ombra, quanto per una mancanza di reazione che esprime l’irrilevanza dell’io sullo sfondo del ciclo della natura. La saggezza consiste nel seguire l’andamento delle cose e rende piacevole proprio ciò che un istante prima aveva causato disagio, il sentirsi fuori posto. E pensiamo che fuori posto, un poeta, sia sempre e a maggior ragione un uomo che ha fatto della non-aggressività e della semplicità il proprio abito e della fatalità un comodo albergo in cui gestire, centellinandole, le proprie passioni, le quali non possono essere detronizzate nemmeno dai calci della vita.  Sarà per questo che spesso un vento ilare soffia tra le sue rade righe, svelando, in siffatto modo, il lato comico e allegro che solo gli occhi di bambino sono in grado di scorgere.

Tale sottilissima ironia funziona anche come antidoto a un’esistenza a cui non ci si sente totalmente aderenti, a causa della sua volgarità e a, questo scopo, l’azione di appiattirsi ancor di più, farsi sogliola sulla rena, serve a non lasciare sguarnita la scena di sé. Passione attecchisce per tutte le cose più infime e spesso sovviene, durante la lettura, il ricordo degli impareggiabili haiku che registrano la capacità di accogliere in sé l’evento al limite dell’inconsistenza concettuale, che, però, ci mette in relazione col tutto. È proprio sulla relazione tra vuoto e dettaglio che la poesia Il sole tra le cupole c’invita a focalizzare l’attenzione:

Il sole tra le cupole
strade come intestini
il fiume putrescente
sotto gli archi di marmo

e il bla-bla della radio
come consolazione
vivere sembra un gioco
la vita un calendario.

Chilometri di case
di luce polverosa,
mani sono passate
senza lasciare traccia.

Tra l’impero, che ancora i ruderi della città eterna simboleggiano, e le vite umane che scorrono irrilevanti, separati da un’incolmabile distanza, privi di  alcuna possibile sutura, Tito Balestra riconosce il suo dramma più grande: l’impossibilità di addivenire a una fusione perfetta che sarebbe il sigillo non solo di un senso esistenziale ritrovato, ma anche del suo personale ruolo nel crocevia storico (si ricorda che Tito Balestra ha ricevuto un encomio dalle Armate Alleate in Italia per la sua attività partigiana).
Ancora a questo iato, il poeta longianese attribuisce l’inaridimento della vena a cui però non segue il placarsi della contraddizione: corpo e mente proseguono lungo due linee separate e irriducibili. 

Come una tartaruga sei contento

Come una tartaruga sei contento
del tuo moto lentissimo, del guscio
che ti protegge. E lì resti a muffire
trasognato tra i tuoi poveri versi
e i tuoi malanni.

Quel dolore di vivere, quell’inadeguatezza che non evita di causare malessere anche quanto più si è ridotta ai minimi termini la progettualità della propria esistenza: “vivo / come se non contassi”, è, dunque, al tempo stesso, anche strategia di sopravvivenza, capacità di controllare gli eventi e di non lasciarsi travolgere. Il valore dell’esistenza sarà dato dalla somma delle percezioni, dei pensieri, delle valutazioni e degli affetti, pur sullo sfondo dell’irrazionalità che attraversa ogni cosa.

Al fine di meglio selezionare le modalità espressive più adeguate alla sua dianoia, in osservanza alla libertà stilistica dei poeti novecenteschi, fra le pagine di Balestra vediamo susseguirsi modi elegiaci, narrativi, satirici: una presenza costante è, in particolare, data dalla vena satirica che restituisce il discorso morale su vizi e virtù delle associazioni umane. La lente del poeta fissa i difetti della società contemporanea, ma soprattutto stigmatizza quelli che sembrano connaturati al genere umano e perciò eterni. Ma si pensi poi anche ai deliziosi scherzi su De Chirico, per quel tanto che ci serve a ricordare l’ambiente romano in cui Balestra ha vissuto, in fraterna frequentazione, la sua giovinezza e maturità con i poeti e gli artisti più importanti dell’epoca in Italia e di cui è testimonianza la splendida collezione artistica “Fondazione Balestra Onlus”, ospitata nelle sale del Castello Malatestiano di Longiano. Non poche, fra l’altro, le sue critiche a un sistema culturale che confeziona su misura la grandezza degli artisti: “Arrivare arrivare, dove?”.

Tito Balestra raggiunge nelle sue poesie una sorta di astrazione invero originale: non usa rime, sparuti gli aggettivi che rendono l’immagine come incisa al fine di ottenere una precisione che renda maggiormente sfocato lo sfondo, facendo risaltare il personaggio o l’evento domestico. Una forte omogeneità e linearità del dettato, privo di salti e di cadute, costituisce un tessuto lirico saldo e fermo, nettamente opposto al plurilinguismo. L’aulicità della vita è innervata nel quotidiano con perfetta fusione. La sfocatura storica consente a Balestra di concentrarsi sull’interiorità, di cui la confessione è il segno principale. Il poeta avverte la necessità di rinnovare l’analisi del sé e della sua inedia in ogni poesia, confermando che ciascuna di esse, avente, dunque, un medesimo tema, non vale come ripetizione, ma come vetta di consapevolezza: ogni poesia, un autonomo cristallo.



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