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sabato 13 gennaio 2018

Due poesie inedite di Flavio Almerighi tratte dalla raccolta “Isole”




il Crepuscolo Degli Dei


il Crepuscolo degli Dei
cadde sulla platea fredda
di barbe mal fatte
con l’ultima camicia buona
prima dell’apocalisse
nell’imminente crollo
dell’incrollabile fede
nella Vittoria Finale
gli sguardi persi all’idea
di un fuoco cui lasciare
uniforme e tessera del partito
mentre Wagner drammeggia
il crepuscolo in atto
le donne fingono indifferenza
col nemico alle porte
carni finite e cuori smarriti
senza più petto
*
tutto compiuto, firmata la resa
un brindisi nelle sconnessioni
dell’ultimo bistrot
nei pochi perimetri rimasti
solo posti in piedi
ai vinti.
Bene necessario è l’acqua,
l’acqua è pace,
la pace è silenzio
sulle rovine di Sodoma e Berlino


Hart Island

L’uomo ha conquistato la terra.
Invaghito della luna
risoluto l’ha sottomessa.
Gli amori, lontanissimi nell’aria,
sono appannati da un lampo.

Troppo tardi per ripartire
il prossimo vapore è domattina.

Avrei preferito trovare sereno
tutti in sonno e ben vestiti.
Nessuna pietà invece,
malgrado il gioco di pazienza 
delle mani unite.

Fra tanta sterpaglia e veloci sussurri
chissà, forse,
fuggirà la voglia di essere terra. 

Una a una vedo braccia
e foglie autunnali fermarsi,
colare a picco quest’isola 


(Poesie inedite tratte da “Isole”)

Domande:
R.P.: Nelle poesie inedite tratte dalla raccolta “Isole”, rispetto alla tua prova precedente “Caleranno i vandali”, noto un tono di voce più pacato, eppur non meno persistente e appassionato, che fa pensare a una ritrosia, a una sorta di risparmio energetico, anche se non emotivo.

F. A.: Ho inteso andare oltre la rabbia pura di “Caleranno i Vandali” e ancor prima a quella più rovente di “Procellaria”. E’ chiaro che ogni autore vive la propria ispirazione per attimi. Certamente questo è un momento più tranquillo, per cui ho pensato a una sorta di riflessione, a un libro forte sotto tutti gli aspetti, partendo proprio da quello che il cosidetto “secolo breve”, il tanto vituperato Novecento, ha indicato ma non ha insegnato. O meglio, da questa umanità che sembra indifferente a ogni lezione della storia. Ad Auschwitz hanno fatto seguito i Killing Fields, il disastro della foresta pluviale, lo sterminio per fame di intere popolazioni. A Varsavia ha fatto seguito Aleppo. No, non abbiamo imparato nulla. All’ideologia si è sostituito il contante. Così come una rabbia eccessiva rischia di arruffare il discorso, per cui sì, pacatezza, ma nessuna rinuncia. D’altra parte credo di saper scrivere anche pezzi d’amore o più intimisti. Voglio aggiungere un’ultima semplice considerazione. Il mio marchio in fronte è quello di “poeta antilirico e civile” non mi sento niente di tutto quanto questi tre termini vogliano significare quando vengono associati al mio nome. Il tintinnio lasciamolo ai bravi poeti. 

R.P.: Personaggi identificati esclusivamente da un ruolo si aggirano tra le quinte periferiche di una città, seguiti da un tuo sguardo solidale. Tra i tuoi temi continuano ad esserci questioni sociali e politiche.

F.A.: Sarà retaggio di una quindicina di anni di impegno politico attivo e al servizio degli altri. Impegno di cui mi pento pubblicamente, perché il suo prodotto finito è stato molto diverso dai propositi che lo avevano mosso. Resto convinto che un autore non possa esimersi dall’alzare la propria voce su ciò che vede. Chi va oltre senza guardare, ha chiuso con la verità. Vedo troppe cose storte per potermi permettere di stare zitto e farmi gli affari miei.

R.P.: La storia, invece, sembra essere presente per la prima volta, e in maniera consistente. Quale tipo di considerazioni intorno a questo oggetto culturale?

F.A.: Sono appassionato da sempre di letture storiche. Un’intera sezione del libro è dedicata al Novecento, specialmente per quel periodo che va dal 1914 al 1989, settantacinque anni che hanno cambiato ogni cosa. Il XXI Secolo in realtà è iniziato a partire dal 1990, quando sembrò che l’informatica e la “vittoria” sul comunismo fossero la panacea per qualsiasi male e per qualsiasi problema. La deriva si protrae da allora a oggi e durerà ancora molto a lungo. L’umanità sembra non voler più reagire a un turbo capitalismo che sta facendo più vittime del colonialismo, del nazifascismo e del comunismo messi assieme. 

R.P.: La tua raccolta inedita “Isole” non descrive esclusivamente l’isolamento degli esseri ai margini della società, ma anche un modo d’essere dell’intellettuale, che ha compreso che la resistenza è una strategia.

F.A. La resistenza è una tattica non una strategia, e porta da nessuna parte. Non basta resistere, bisogna saper reagire. Saper reagire significa mettersi insieme, socializzare i bisogni e dar loro una risposta che sia giusta e laica per tutti, e non alludo solo alle vicende interne di singoli stati. Nel mondo delle lettere assisto alle vicende di tanti patetici personaggi che fingono di resistere al non buon andazzo generale (uso perifrasi per evitare un linguaggio più colorito), alle tante piccole camarille che vogliono gestire pezzetti di potere, ai leccapiedi: salvo crearsi i propri. Funziona così: se mi sarai amico sei di sicuro anche un gran poeta, un gran letterato. Altrimenti non hai alcun valore, non esisti proprio.

R.P. Che cosa rappresentano per te le isole? 


F.A. Acqua e solitudine. E’ quello che molti stanno diventando, presi tutti da vicende personali, gli altri sono il “resto dell’umanità” senza volto e senza nome. Come scrisse Paolo Conte “Si nasce e si muore soli. Certo in mezzo c’è un bel traffico”

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