Deposta ogni ornamentazione aggettivale - nessun cedimento estetico per tenersi più strettamente aderente al dato percettivo, nel quale agisce il nucleo riflessivo - Erik Battiston pone l'oggetto della sua analisi sotto una luce concentrata, sottoponendolo a una disamina ferrea e non lasciandolo finché non ne abbia estratto un'essenza che includa anche il suo opposto. In questo senso, i versi di Battiston non implicano una costruzione filosofica, ma impiegano il pensiero nelle sue forme più ampie e meno rigide.
Nelle tre poesie, viene dato spazio alla struttura sintattica che, se pur prosciugata, fa emergere una lucidità che attraverso l'economicità dei mezzi espressivi ricerca una precisione funzionale alla sottilissima metamorfosi a cui le tre poesie tendono. La macchina elegante, intelaiata da frequentissime inarcature, al di fuori di ogni affettazione, quasi severa (mancanza di rime e di assonanze interne) è fitta di ripetizioni per meglio utilizzare quel gioco che fa perno sullo stesso vocabolo per cambiare prospettiva concettuale (con i passaggi dal corpo alla persona, dal figurale all'informe, dal suolo alla terra) descrivendo il suo oggetto anche ossessivamente, com'è proprio di un'acuta sensibilità. La struttura delle sue poesie, presentando con schizzo rapidissimo e asciutto l'elemento di cui vuole mostrare l'aspetto contrastivo, da dissotterrare, da ritrovare, vede dunque gli aspetti conflittuali della medesima cosa, impegnati in una tenzone di grande resistenza. Non lineare, complesso e sorprendente nel suo dispiegarsi piano per affacciarsi, alfine, su una radura in cui la denotazione si discioglie in una fantasticheria che divelle le regole abitudinarie della visione, Erik Battiston, ci consegna, in tal modo, una poesia originale e ponderatissima.
La prostituta
La provinciale trenta la percorro
due volte a settimana.
Sola, seminascosta
tra un intrico di verde, la prostituta.
E proprio ieri, io in bici, lei mi chiama
coll’aspro del ruscello nella voce.
Mentre pensavo se fermarmi o no,
la bici in corsa aveva già deciso.
Ora che sono trascorsi tre mesi,
potrei dire che il gioco a due
sarebbe stato troppo facile,
che avevo un altro impegno: tutto vero.
E se la prossima volta,
magari la prossima estate,
rivedessi ancora voce e cosce
ben salde al cellulare?
E se più non mi tormentassero
quella voce e quelle cosce,
quella voce di cosce, così piena,
allora il gioco non sarebbe facile.
Nel breve dell’istante
non una prostituta di strada
ma una donna incontrerei,
nella parola.
Un ritratto che non somiglia più
Il treno è un regionale, affollato
è dir poco. Il tizio al mio fianco, forse
a dir molto, scatta e riscatta foto:
la calca, massa da mettere in rete.
Io mi trovo seduto, chissà come,
accanto al finestrino che fa specchio
alla ragazza seduta di fronte.
Le guardo il naso greco e lo confronto
col riflesso, più volte, fino a perdere
ogni ipotesi della sua bellezza.
Chiudo gli occhi, poi li riapro lenti
e in quell’istante, sul nero del vetro,
si stagliano catene di polimeri,
quasi costellazioni di magnolie:
un ritratto che non somiglia più.
La terra della città
Io vorrei provare a raccoglierla
la terra che qui in città
vogliono sempre seppellire
sotto l’asfalto il cemento il granito
chissà, forse perché ricorda il passato
e non puoi camminarci con le scarpe
se piove. No, te lo dico io
perché la terra fa così paura.
Perché ci cresce l’erba il fiore a gratis
e insetti senza nome vanno a abitarci
abusivi. Senza pagare l’affitto.
Semplici, pregnanti nella loro essenzialità, volte a un messaggio poetico né circoscrivibile né significabile. Bellissime queste poesie di Erik Battiston
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