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mercoledì 15 marzo 2017

Il grande libro della pittura di Gianni Paris






La cresta di luce fra le due accostate stesure di Terra di Siena Bruciata ritaglia orizzonte e fuga insieme.

Graffiando con la mina la carta, procura un nitore chiaro, smussato, enfio e quasi tiepido, sorta di polmone, sacca di lucore.

La calotta artica trattiene il cielo specchiandolo. Si può, cambiando le carte in tavola, fingere che sia una collezione di paesaggi, nei temperati ocra dei tramonti, mai visti da alcuno.

Si può scorgere sempre qualcosa, pur nel buio più intestino, veder apparire un segno luminoso e proteggerlo con la mano, quasi la troppa luce lo scolori.

Vi si scorgono figure: vedono la luce del tutto casualmente, nell’andirivieni del pennello, ora carico, ora scarico.

La luce sorge sovente da un ispessimento della materia, da un suo corrugarsi, da uno stratificarsi dell’impasto; meno frequente è il caso del levare, quando anche l’occhio vuole sollevarsi dalla mischia.

Lingue di fuoco o selve rugginose, lo sfondo si forgia a partire da quel che si miscela.

Non si riesce a distinguere se tali rivolgimenti e cataclismi stiano avvenendo in terra o in cielo, poiché anche le nuvole grondano ruggine e si muovono come le marine onde.

L'inizio si mostra come una fessura, una gelida spelonca, un rinsecchito fiume nel deserto, o meglio: un universo solo colorato.

Il lattiginoso sole, velato da una nube che nei suoi vortici perde polvere di grafite, pesa sull’esofago: non si può respirare dinanzi a tale turbinio.

I lontani si sono formati in un notte obliata, ma ancora sulfuree vampe e nubi di vapore si levano, forieri di simboli, dal sogno che tutto precede.

Polverulenti nebbie e un sole malaticcio, che non illumina l’amara terra, conservano,  grazie all'impasto, l’origine comune.

È un pianeta disabitato, i lucori ancora impastati agli ossidi non hanno dato vita all’organico. L’acqua si è completamente asciugata sul foglio. 

Le colline si susseguono secondo una scansione ordinata, mentre colore guida l’occhio al centro dell’immagine che coincide con il suo punto più profondo.

Pur anche le nubi sono collassate a terra per il peso del pigmento terroso che enfiava il loro gravido ingombro.

È tutto affidato al colore. Non si darebbero forme senza colore. Nemmeno luce potrebbe molto giacché non esistono profili. Spesso le zolle di colore s’incaricano di fingere volume per indicare la mendace presenza della luce.

I colori si fanno più ambrati e liquorosi per la presenza di folte macchie di verzura.

Geometria è infitta sulla crosta terrestre e da questa inseparabile. Anche la visione è dettata da una volontà geometrica il cui assioma è che sia il colore stesso a dare forma al mondo.

Create che siano la terra e le nuvole, sia  pure prive di cilestre fuga, vortici bianchi e sfiatatoi rossi sporgono dai pendii scoscesi.

Partizioni del foglio già riquadrato valgono come primigenie divisioni fra forme uguali: le distingue il modo in cui il colore si distribuisce sulla superficie.

Prende fuoco il pigmento nella fucina. Fumi creano solide forme.

Sulfuree lotte avvengono tra masse catramose e nembi violacei. Un informe paesaggio che si geometrizza solo quando si raffredda. E pare di leggere la storia della pittura, tutta.

                                                                               Rosa Pierno






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