Con
notevole interesse e graditissimo coinvolgimento, dopo un periodo di obbligato
silenzio, ritroviamo in internet la prestigiosa rivista di letteratura e arte “Trasversale” fondata e diretta dalla
poetessa, critico, architetto Rosa Pierno, che vive e lavora a
Roma (blogtrasverale@gmail.com).
Da tempo effettivamente ci mancavano
rimarchevoli e preziosi, stimolanti e innovativi, spunti di lettura e visualità. Gli interessi
e le acute osservazioni critiche, letterarie e filosofiche, spaziano con
irrefrenato dinamismo (anche tipo-grafico)
dall’arte e, in particolare, alla poesia stimolando il fruitore ad una lettura
che fortemente incuriosisce, oltre la non facile ricezione degli scritti tipici
delle figure grafiche non sempre facilmente leggibili dei testi (troppo
‘compatti’, sovente, e visibilmente frustranti) di ricerca e comprensione in
web.
Gli autori dei saggi e dei testi,
come per il passato, appartengono per lo più a quel gruppo di studiosi sempre
ripuliti dalla banalità pseudo-giornalistica diffusiva soprattutto degli
inserti dei quotidiani cosiddetti culturali. Le scritture in Trasversale si rivolgono quasi sempre ad
esperienze poetiche, artistiche e di narrazione le cui qualità di ricerca e
conoscenza stimolano ogni sapiente curiosità. Compresa la disponibilità a
meglio conoscere autori giovani e talvolta non del tutto sconosciuti. Trasversale offre al navigatore web non
poche sorprese. Soprattutto rispetto ad una certa crisi attuale della poesia e
della scrittura creativa in genere.
Negli ultimi mesi (o primi per la
nuova serie) già le pagine del blog si
sono arricchite di poesie inedite e di interventi critici assai stimolanti.
Ovviamente per ragioni oggettive non possiamo qui dire di tutti: avremo occasione di tornare in
argomento in un prossimo futuro.
*
* *
In questo numero, del
26.11.2015, vanno notati fra gli altri, i sogni d’amore di Claudia Zironi
tra fantasmi interiori e insieme cosmici, in poesie delicatissime dette con i
loro misteriosi inviti all’essere per una felicità senza nome. Senza parola
antica e libera di luce tuttavia nuova e mai rinunciabile. L’amore cosmico come origine e approdo di fronte alla perdita e
allo smacco che tuttavia sono divini:
nominami, dì il mio nome, / poi pronuncia il tuo // un diverso dire
propongo / scollegato
dalla ragione / proprio di divino amore. /
non ripetere od usare /
bensì ex novo, dal vecchio // nominare
Alla evanescente
fotografia di Doria Conversazio
si dedica con opportuna
documentazione grafica l’acuta e rivelatrice presentazione di Gilberto
Isella che osserva incantato infine
“il tranquillo fluire e
rifluire di larve, rese irridescenti dalla contiguità, disegna l’interfaccia
tra il qui e i panneggi che avvolgono il lontano.
Panneggi che spingono ai
margini il volto defunto, e allo stesso tempo ne fanno il loro complemento più
prezioso. Cancelli fluenti, emblemi di quel nulla imperfetto intorno al quale
la vista inventa i suoi anagrammi.
Ameranno, per commutabili prove, il vuoto”.
La poesia è la domanda
antica [forse troppo più volte posta nei modi più diversi e in altri luoghi del
nostro tempo]: “Quale poesia oggi?” di
Ennio Abate.
Come dire “quale vita oggi”? Quale senso della vita e della poesia oggi? Un
certo Orbilius polemizza amichevolmente, ma con grande sincerità, con un altro
certo Samizdat: quest’ultimo ingenuamente eternamente affascinato dai grandi
poeti (vale a dire per lui “quelli che vendono”!). Mentre Orbilius, con i piedi
per terra, denuncia all’amico ancora illuso tutti quelli – poeti più o meno
riconosciuti da editori e critici e assolutamente vuoti di senso (ovviamente
non nel senso di significato!), postmoderni intellettuali anticamente
rivoluzionari (!), rivolti solamente alla loro ormai chiaramente persa
battaglia letteraria per condurre le masse alla cultura e anche,
perciò, alla poesia!
Commovente è comunque la
conclusione di Orbilius che vuole ricordare con nostalgia almeno uno dei più
notevoli novecenteschi poeti antichi: Roberto Roversi, che raramente pubblicava
e scriveva poesie in ciclostile per donarle umilmente agli amici.
Giorgio Bonacini, in “Infanzia dei nomi” “, 2015
ci conferma per la
poesia l’insufficienza di una qualsiasi ragione esaustiva e riprende il
discorso sulla poetica dell’indeterminatezza.
Si potrebbe aggiungere
dell’ambiguità. Che apre tempi e spazi mai circostanziali alle cose, ai nomi
(oscuri nella loro genesi), indefinibili alla ragione appunto:
E dove il tempo
degli occhi / finiva, uno spreco inusuale / nella generosità di se stessi /
avrebbe attraversato l’incanto / con la velocità della notte / parole, scivoli
ormai intrattenibili / presi da una allucinazione / nel sintagma di un cuore
isolato
…………
Si colgono con grande curiosità in merito alla più recente
poesia i testi de “La creta indocile”.
Si tratta di alcuni inediti del 2015 di
Ivano
Mugnaini che
propone una sorta di racconto, quasi un poemetto, in cui poesia e narrazione si
sovrappongono. Si legge in una nota introduttiva di una “incoercibile inclinazione
a narrare” che si incontra/scontra sempre con una, forse inconscia, volontà di
poesia:
La stazione
Giunto in anticipo di
fronte / a questa stazione, fermo, / senza aspettare alcun treno, non vorrei, /
stavolta, che arrivasse alla mente / una poesia.
Vorrei che da quella porta
rugginosa / dell’atrio uscisse trafelata la carne
imperfetta di te,
accesa, sudata / rossa di follia
………
* * *
Particolare attenzione,
ovviamente, merita – anche in relazione alle basilari motivazioni della ricerca
di questa rivista – il saggio introduttivo, acuto,inaspettato e assai
propositivo di Rosa Pierno sul
pensiero dello storico Jean-Pierre
Vernant , “Edipo senza complessi” (Ed.Mimesis 2013).
Vernant critica le
affermazioni di Freud sul Complesso di
Edipo considerando del tutto arbitrario fino alla banalità quella affermazione
antistorica, fuori da ogni probabile realtà individuale e sociale, perciò del
tutto arbitraria, la generalizzata affermazione di una universale
considerazione sul quel complesso riferibile all’uccisione del padre di contro
all’amore per la madre. Vernant chiude il saggio con un invito conclusivo e
aspramente ironico : “Si potrebbe proporre agli psicanalisti di farsi più
storici – è un’altra massima da appendere sopra ogni lettino in cui si applichi
lo smercio di una assurda verità”.
Qui ci si può domandare
perché uno psicanalista dovrebbe diventare uno storico: Freud non era uno storico e non poteva
esserlo. E nemmeno poteva esserlo un ‘teatrante’ come Sofocle. Non c’è storia
nella storia ellenica e preellenica offerta a un pubblico che voglia
‘divertirsi’ piangendo (quello che facciamo ‘godendo’ di un film tragico o
dell’orrore!). Come non c’è storia in senso… storico-oggettivo (!) quando si
voglia come Freud indagare sulle origini dell’uomo, e dell’universo di cui non
si può conoscere né principio né fine. Se non muovendosi per ipotesi
storicamente indimostrabili. Lo storico e Freud percorrono strade del tutto
diverse: il primo va avanti e indietro sulle vie tracciate dalle scoperte
documentali, Freud va avanti e indietro per le vie corporali-individuali della
mente (impalpabile e intangibile) – non si pone problemi fattuali o…
neurologici se non per constatare
l’abisso che ci separa dall’ignoto qual è l’inconscio
nella sua primigenia profondità. È forse questa la
verità: Vernant confonde il complesso inesistente in Edipo, se non a
livello teatrale-favolistico con il mito.
Solo per fare un esempio: il mito biblico provoca in realtà il complesso
universale del peccato originale…
Sul problema
dell’inconscio si può con seppur relativa convinzione riprendere il pensiero di Jung (“Complesso e
Mito” in “Problemi dell’inconscio nella
psicologia moderna”, Einaudi 1977. Pgg.252-253): …”Nella dottrina di
Freud il mito di Edipo è a dire il vero, soltanto una geniale visione del
maestro, non una esperienza vissuta con commozione dal paziente. Ciò che il
paziente vive è il suo complesso come fatto per il quale gli viene offerto a guisa di metafora la
tragedia di Edipo in astratto – ridotta
ad uso degli incolti. Orbene Jung non afferma che questo o quel
complesso, come fatto non esista, ma va alla ricerca dell’immagine di questo
complesso… e si trova subito nel mitologico…”
Forse non ci rimane, ad eliminare ogni ipotesi o
diatriba, che rifugiarci ancora nell’ultimo mito presente
e totalizzante: la Poesia.
Gio Ferri
Desidero ringraziare Gio Ferri per il suo intervento a sostegno dell'attività di Trasversale,il quale, oltre a testimoniare della sua generosità e partecipazione, incita al dialogo e all'approfondimento...Davvero grazie, Gio...daremo seguito
RispondiEliminaSe Gio Ferri, leggendo il mio ironico narratorio, ha capito che Samizdat è "ingenuamente eternamente affascinato dai grandi poeti (vale a dire per lui “quelli che vendono”!)" due sono le possibilità: o è sballata la mia scrittura o la sua lettura. Lascio irrisolto il dilemma. Un saluto a tutti/e.
RispondiEliminaEnnio Abate