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giovedì 26 novembre 2015

Jean-Pierre Vernant "Edipo senza complesso", Mimesis, 2013


Se si potesse dire di un testo di Vernant che è un testo comico, lo si potrebbe dire solo pensando al livello puro e altissimo, stratosferico, di raffinatissima ironia raggiunto da Voltaire e che il malcapitato caduto sotto codesti appuntiti ferri, inoltre, sia Freud è doppiamente gustoso. Naturalmente, Vernant non ha la fantasmagorica fantasia, né l'arguzia irriverente e guascona, del filosofo francese, ma con Freud il suo spirito si arroventa, s'indigna per tanta superficialità, muovendosi a inchiodarlo con argomentate prove; senza scampo lo insegue fino a rintuzzargli ogni manchevolezza, non essendogli più sufficienti le gigantesche, per avere osato tanto ardire nel foraggiare la sua tesi con affermazioni arbitrarie.

Tutto parte con l'iniziale assunzione che il mito di Edipo celi in sé un unico significato: quello che uccidendo suo padre, sposando sua madre egli esaudisca il desiderio presente nell'infanzia di tutti noi. Ora, il brevissimo testo dello storico, nel tracciare gli errori compiuti da Freud nella sua pretesa di ridurre il mito a un solo significato - sempreché poi esso sia esatto e non lo è come vedremo - ci consente di poter anche ripercorrere quelle che sono le domande metodologiche costantemente attive nell'analisi che Vernant effettua sugli oggetti storici. La prima, fondamentale, é: in che cosa un'opera letteraria appartenente alla cultura dell'Atene del V secolo A.C. può confermare le osservazioni di un medico dell'inizi del XX secolo? Freud naturalmente non si è posto la domanda perché per lui non costituiva un problema entrare a gamba tesa in un dominio letterario e irrigidirne il portato semantico fino alla paralisi, trasbordando, oltretutto, tale assunzione a garanzia di universale validità alle sue teorie psicologie.

Ponendosi, dunque, al di fuori di qualsiasi tracciato seguito dall'ellenista e dallo storico, Freud si avvia a millantare come verità un'illazione, la quale, appunto, non ha nessun fondamento. Sia perché la sua costruzione è ottenuta con un circolo vizioso, in cui il testo è "interpretato con riferimento onirico degli spettatori d'oggi" sia perché  proietta sull'opera un senso "indipendentemente dal suo contesto socio-culturale". Il che pone in posizione antitetica la prospettiva freudiana e la psicologia storica. Ricordiamo per inciso che la psicologia storica non costruisce né una conoscenza dell'attuale universalizzato, né quella di una sola civiltà comune a tutti gli esseri umani, né quella di una psiche globale.

Separare dunque l'opera di Sofocle L'Edipo re dal contesto storico, sociale e mentale in cui è maturata vuol dire snaturare irreversibilmente il suo significato ed è esattamente quello che compie Freud. Vernant, passando in rassegna i temi del sogno, della nascita e dell'apogeo del teatro e della tragedia, la lingua, la differenza tra il piano umano e divino, il senso tragico della responsabilità, delinea la complessità del testo letterario in oggetto  e dichiara che  se invece si procedesse, come Freud, "mediante semplificazioni e riduzioni successive di tutta la mitologia greca a uno schema leggendario particolare" con la pretesa, inoltre, che il significato imposto a una valga per tutte, allora si costringerebbe la materia leggendaria a piegarsi alle esigenze del modello psicanalitico.

Vernant smonta passo dopo passo la macchina freudiana sino a giungere alla lapidaria affermazione: "Ci sembra al contrario che le ragioni di Sofocle siano estranee alla psicologia del profondo". Insomma, nessuna di tutte le affermazioni freudiane, nella sua interpretazione del testo sofocleo, risponde a una verità del testo, anzi lo storico francese dimostra che il testo è stato bellamente travisato, soprattutto da Didier Anziau, il quale "tenta di rifare, con i dati del 1966, il lavoro cominciato da Freud all'inizio del secolo".

L'invito conclusivo  rivolto da Vernant: "si potrebbe proporre agli psicanalisti di farsi più storici" è un'altra massima da appendere sopra ogni lettino in cui si pratichi lo smercio di universalizzanti verità. Insomma, Edipo era un uomo senza complessi e questa la si può considerare una fra le battute più folgoranti della storia del Novecento.                          

                                                                                                          Rosa Pierno

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