Nonostante
palazzi di Napoli siano poco più che uno schermo forato, a volte caseggiati disabitati o facciate
scrostate con lenzuola al vento, olii su carta li catturano come fossero vividissimi
oggetti e lucenti. Il verdastro tufo, nella parte non soleggiata, rabbocca il
verde scuro dei limoni. E cielo, pur implacabilmente azzurro, ne riflette le
verdi assonanze. Quando facciate siano direttamente colpite da un cocente sole,
il tufo par che si sciolga, liquefacendosi e trascinando la verde muffa delle
piante abbarbicate negli anfratti.
In
altre carte, facciate intonacate, una a ridosso dell’altra, tracciano un antico
affresco di grigie gradazioni, poiché gli intarsi di pietra vulcanica sulle
soglie dei balconi, delle finestre e dei terrazzi, connotano la città come un
geologico reperto.
Muro
di Napoli è muro che non è uguale a nessun altro muro. E’ caldo e freddo
insieme. Il suo colore tufaceo è gravido di una sfumatura verdastra per la
presenza, nella corte, di alberi di limone e fichi. Ha imposte
irrimediabilmente chiuse e panni stesi ad asciugare azzurri e verdi, in studiato
accordo al cielo e alle piante.
Golfo
quasi non si riconoscerebbe - sebbene l’allampanata sagoma del Vesuvio e i pini
e la baia forniscano tangibile riscontro - a causa dello svenevole cielo che
stende sull’intero golfo un torpore, il quale ogni altra tinta spegne. Deve essere per l’afa che nemmeno se sono immersi nell’ombra
consente ai colori di rinvenire.
E’
appena uno scoglio con una sola casa: quella del re. Si trova dopo l’insenatura
di Trentaremi, nel golfo di Napoli, ma non sempre è dato d’incontrarla: forse
dipende dalla direzione da cui si arriva o dall’ora. Quando il sole è
accecante, Gaiola diviene una pellicola lattiginosa che si muove sull’acqua. I
colori in primo piano sono quelli fondi e gelati delle cose cadute nell’ombra e
anche la barca che solca le acque lascia alle sue spalle una persistente scia
nera, a riprova che lì, dove tocca, l’ombra attecchisce come catrame. Il resto
della piccola baia, prospiciente l’affiorante roccia, però, è chiara, quasi
evanescente, e la minuscola isola non ha nulla di familiare. Nuvole, poi,
scorrono dando man forte a una visione refrattaria allo sguardo per sua stessa
natura.
Sole
arroventa le facciate di tufo, le surriscalda fino a renderle fumiganti. Pertugi,
luci, finestre, balconi non servono a mitigarne la bollente temperatura.
Persino quando l’ombra riesce ad agguantare una facciata, il colore arroventato
non si raffredda.
“Il promontorio di Capo Miseno da Monte di
Procida”. Pur pullulante di gente e
di animali, di imbarcazioni e di palazzi, di frasche e di cirri, golfo, non
accoglie l’azzurro smalto del cielo a causa di una preminente acidula
emanazione di giallo paglierino.
“Veduta di tetti a Napoli”. Ha ritratto
la casa intonacata di bianco e cariata da finestre nere. L’intonaco è sporco di
muffa e di umido. Dietro si solleva un cielo che è quasi un sipario, privo di
profondità, incattivito da sordo, ferragno grigiume e insolentito da protervia.
“L’entrata della Grotta di Posillipo”.
E’ discinto ventre, esposto a ripide lumeggiature, a intemperie e alla
tracotante rapina di aridi arbusti che succhiano senza sosta l’umidità dalla
pietra. L’antro è mitigato solo da indaco intenso, quando cirri lo coronino di
prezioso svolazzo, ma se il sole batte sul tufo, allora vi si riversa oro puro
che sguardo rapina.
“La costa vicino Vietri”. Il paesaggio ha essudato, ha espunto da sé
ogni ricordo timbrico, presenta solo
tracce di estenuata vita, dopo una giornata assolata. Nell’istante rappreso sulla
tavola, il crespo susseguirsi di chiazze opache e lucide sull’acqua racconta
che la barca di pescatori sta tornando a riva sotto la rabbrividente ombra di
uno scoglio scuro.
“A Sorrento, le rocce”. Lì dove il cielo
è blu cobalto e le grandi masse acquoree, appena segnate nel contorno, sono
zavorrate da un cilestre pallidissimo, e la costa priva di vegetazione si mostra senza pelle, s’intravede il liquido
cobalto di un motile mare. Sarà solo l’ombra ad aggredire le rocce, a scurire
le onde con riflessi metallici, a renderla un indomabile scriteriato
susseguirsi di ocra e di grigi.
Rosa Pierno
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