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martedì 20 novembre 2012

Emilio Tadini “La fiaba della pittura” Pagine d’arte, 2002


Il delizioso libro illustrato di Emilio Tadini “La fiaba della pittura” Pagine d’arte, 2002, è un miracolo di equilibrio tra l’oggetto d’arte e il saggio: il disegno tratteggia personaggi imparentati con la fiaba: scimmie e cani, marionette, biciclette, cannoni e carretti; il testo verte sul rapporto tra immaginazione e riflessione concettuale, tra inesprimibile ed essenza/assenza. E i due insiemi sono poi implicati in un dialogo che eccede le loro intersezioni perché si mostra autonomo almeno quanto dipendente.

Sulle pagine, assieme a un testo compatto, dai caratteri piccoli, che rosica lo spazio che invece gli spetterebbe di diritto, a tratti reclamandolo con forza contro i nerastri segni, giganteggiano figure che provano a sovrapporsi al testo, che per strafare escono dal foglio, che sono incontenibili, che si allontanano fuggendo, che s’accampano a chiare lettere, che usano il testo per appoggiarvisi, in pose strambe, a tratti irriverenti, e, indifferenti a quel che esso dichiara, seguono altre linee di sviluppo, narrano brani di storie appena germinate e già intersecate o rincorse da altre. Disegni tracciati con una mina di carbone, linea rigonfia di bolle d’aria,  che si assottiglia per finta insicurezza, friabili, o si doppia per tracotante e boriosa imposizione.

Il breve saggio si pone il problema della differenza tra testo  e immagine, della loro capacità di esprimere in modo differente, e a tal punto che differenti sono di fatto i risultati in relazione a ciò che si voleva esprimere, il quale a sua volta è in una qualche modalità di relazione con l’inesprimibile.  Fra queste lame si dispiega un campo di forze di cui l’inesprimibile è solo un limite. Tadini distingue tra filosofia, racconto, narrazione, fiaba. Il disegno si ribella al nome, all’assoluto: “i filosofi non sono mai così necessari a tutti noi come nel momento in cui, disarcionati, stanno volteggiando, più o meno elegantemente per aria prima di battere il culo per terra”. E quel non so che, il quale invece il narratore e il disegnatore vogliono afferrare, essi paiono conoscerlo attraverso i sensi e non, appunto, attraverso i concetti, dominio dei filosofi. Insomma, parrebbe che quest’assoluto senza nome sia raggiungibile  solo dall’immaginazione.

Il mito, la fiaba e, in generale. la narrazione, consentono di abitare questo spazio in cui in qualche modo ciò che non si può definire si dà in specifiche forme e fra le loro intersezioni, si dà sempre in qualcosa di concreto, che appena un attimo prima della loro realizzazione pareva non esistere: sensi e immaginario concretizzano il ‘segreto’.  Mito, fiaba disegno, sono “una pratica non di “evasione” – ma, al contrario, di “invasione””. Costituiscono la lingua speciale con cui il mondo si presenta a noi e “quella lingua, la possiamo capire”.

Per Tadini “la dimensione dell’immaginario, il sapere che noi sperimentiamo è un sapere, per così dire, integralmente percepibile dai nostri sensi. Un sapere sensibile. Un sapere che risponde al desiderio”, che è legato al corpo. Un sapere fatto di esperienza.  E se quel mondo ci sembra così difficilmente possedibile nella pienezza del suo senso, può darsi che  dipenda dalla diffidenza che abbiamo maturato culturalmente “nei confronti di qualsiasi cosa che somigli a un corpo”. L’antidoto è nell’appropriarsi dello spazio bianco, nel riempirlo con testi e disegni.


                                                                              Rosa Pierno

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