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giovedì 6 settembre 2012

Du Fu “Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono” Edizioni L’Arca Felice, 2011


La traduzione di Alessandro Ramberti ci consente di conoscere quattro  poesie di Du Fu (712-770) raccolte nella silloge “Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono”, Edizioni l’Arca Felice, 2011  (con una litografia di Francesco Ramberti) e di penetrare in maniera ancora più diretta nel pensiero cinese di quanto molti libri sulla cultura orientale ci consentano, perché spesso la preoccupazione o l’urgenza del confronto con il pensiero occidentale appiattisce l’articolazione del pensiero orientale. In questa raccolta di poesie invece possiamo cogliere la pienezza del moto e dell’intensità del flusso poetico assieme all’impossibilità di fissarlo in un’immagine quieta, rassicurante, definitiva.

La struttura, come spiega  il traduttore, adotta il metro “verso regolare/ato”: “otto versi di cinque o sette parole di cui il terzo e il quarto verso sono paralleli e simmetrici fra loro e altrettanto lo sono il quinto e sesto verso” sia per quel che riguarda il senso sia per il valore grammaticale.

Commentiamo qui la prima poesia della raccolta, che riportiamo nella sua interezza. A partire dal dato osservativo che riguarda le condizioni storiche e sociali in cui versava la Cina a lui contemporanea, il poeta pone immantinente tale dato a confronto con la natura, in un colloquio che non astrae mai il particolare per assolutizzarlo, ma in qualche modo lo innesta indelebilmente in una scala maggiore,  lo relativizza nel senso che l’interpretazione del dato viene immersa in un contesto e in una scala maggiori persino di quelli percepiti. Allo stesso modo ragione non viene separata da passione. A una realtà a cui non si può porre rimedio (guerre, peste, carestia) fa da contraltare una natura che tocca il cuore  e la vista rinnovandoli e commuovendoli e dona la spinta interiore per comprendere che il flusso vitale non s’arresta dinanzi alla disgrazia, sebbene immediato segua un riflusso verso l’individuo, il suo ciclo limitato, i suoi drammi personali, la canizie che aumenta e che misura il limitato ciclo esistenziale. Ma ci pare che qui fine e inizio siano solo falsamente recisi, formalmente distanti. Che la simmetria e l’equivalenza del senso che si tenta di instaurare all’interno della struttura poetica siano come dei muretti a secco destinati a crollare, travolti da sommovimenti che non è possibile controllare. La cosa straordinaria è che se pure paiono collegati, inizio e fine, tempo individuale e tempo della natura, il cerchio non si chiuda, nulla vi si saldi.  Resta drammaticamente franto il passaggio dall’uno all’altro. L’equivalenza non si attua, è solo molto più drammaticamente posta quando i termini della questione sono così vividamente tratteggiati (e quale rastremato e cesellato  vocabolario!) e mostrati come inseparabili. Se i monti e i fiumi reggono regge anche calvizie. Nessun annullamento, nessuna diminuzione, nessuna valutazione che minimizzi o che salvi, che funga da stratagemma per l’uscita. Sentiamo che un polso fermo ci trattiene, che ci invita a osservare tutto, a comprendere che nel tutto siamo immersi, anche se non vi è nessun punto di passaggio da una zona all’altra.



Veduta primaverile

Paese in pezzi? I monti e i fiumi reggono.
In città è primavera e il verde è intenso
commossi i fiori propagano lacrime
solo gli uccelli fan fremere il cuore.
Fuochi di guerra duran da tre mesi
lettere da casa valgono più che oro.
Mi gratto la canizie ormai sì rada
che è appena in grado di reggere la spilla*.


(*Per fissare il copricapo dei funzionari)


La pregevole collana “Hermes”, che raccoglie brevi raccolte di poeti stranieri tradotte da poeti italiani contemporanei, viene proposta in 110 esemplari numerati a mano, con litografia.

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