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giovedì 5 luglio 2012

Christian Bonnefoi “Continuità e variazione”


Il concetto di spazio inaugurato da Christian Bonnefoi, creato attraverso la sovrapposizione di leggerissime carte dipinte, a tratti impalpabili e assemblate con spilli, le quali potranno o non potranno ricomporre figure, e che invadono spazi murari anche molto grandi, è uno spazio che non si coagula, né si rapprende, che non penetra e non si espande, né se ne possono distendere le pieghe con la mano, né l’occhio può incunearsi fra i lembi della carta o i teli della seta: lo spazio di Bonnefoi è uno spazio esperienziale di cui non si viene a capo. Ci afferra e ci trascina, facendoci inciampare e rotolare sulle sue superfici scabrose e traspiranti, stratificate e cancellate, in tal modo, consentendoci di fare esperienza di una paradossale metamorfosi. La figura vi erompe, squassata e franta, esplosa e in equilibrio precario, ma non è ravvisabile nella sua completezza, resta indicata. Del resto, non si può affrontare la sua opera senza effettuare una premessa fondamentale: la rappresentazione materica non può che effettuarsi tramite il viatico del colore. Il colore si articola in una vera e propria sintassi retorica in cui proporzione, peso, equivalenze, equilibri e dissimmetrie vengono tradotte in mirabili armonie compositive e in cui la distinzione tra forma e colore diviene fluttuante. E’ il problema del limite, della soglia, del passaggio. Lo sfondamento dei paletti fra forma e colore, così come fra tutte le componenti attive nell’opera d’arte,  lavora sulla possibilità della trasformazione, non arrestandosi su risultati ottenuti tramite analogia, ma da essa partendo per scoprire le possibilità insite nell’atto interpretativo. Il problema è di cogliere la connessione al di là degli schemi tradizionali determinati dal principio di identità e di non contraddizione. Perché l’istante in cui si crede di individuare il limite, collante tra le forme e i segni, è anche l’istante in cui essi sfumano, sbavano, svaporano. Logica del vago, che è tutta da costruire. La tradizione, la quale non si perita di venire convocata sulle tele di Bonnefoi in maniera diretta e aperta, viene qui miracolosamente trasmutata nell’immagine di un’opera che gli appartiene in maniera assolutamente originale. I quadri di Christian pretendono moltissimo da coloro che li osservano. Ne rapinano l’attenzione e gli fanno esplodere la memoria. Non è che memoria, a seguito di questo trattamento, possa individuare un’unica immagine mentale suscitata dal quadro, poiché non ne  esiste una. Si tratta qui di un’operazione che fa esplodere la figura in mille occorrenze, tutte vere: impossibili da ricomporre in una sola icona originaria. Fluidità dell’esistente attraverso un’infinità di passaggi.  E, dunque, spazio interno e spazio esterno, memoria e perdita di univocità, molteplicità e riconoscibilità, peso e leggerezza, cultura e immediatezza e, nemmeno a dirlo, spazio e superficie, aprendosi l’uno verso l’altro, si accolgono, risultando inestricabili e persino coincidenti!

                                                                                    Rosa Pierno

2 commenti:

  1. molto interessante, forse l'unico scritto se pur breve su Christian in italiano...posso chiederle se esistono scritti, anche suoi, più complessi a riguardo? grazie

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  2. Grazie mille, Alessio. In italiano, esiste una pubblicazione delle edizioni Pagine D'Arte realizzata per una mostra tenutasi presso la Temple University a Roma, in cui ci sono un mio testo lungo, di cui lei ha qui letto solo l'estratto, e un testo di Pia Candinas.
    Se mi scrive il suo indirizzo postale(usi il mio blogtrasversale@gmail.com) mi farà piacere inviargliene una copia.
    Cordiali saluti

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