Pagine

venerdì 4 maggio 2012

Horst Bredekamp ”I coralli di Darwin” Bollati Boringhieri, 2006

L’affascinante libro di Horst Bredekamp  I coralli di Darwin”, Bollati Boringhieri, 2006,  ci guida nei meandri delle relazioni tra immagini e pensiero, ove l’immagine dà corso a un’idea. Bredekamp è uno dei più originali storici dell’arte tedeschi ed è assolutamente interessante seguirlo mentre mostra il modo in cui le immagini – artistiche o meno – entrano nella strumentazione di uno scienziato.  Tema già esplorato da Erwin Panofsky e da Gerald Holton per Galilei, mentre qui, Bredekamp, analizza come un segugio i reperti che Darwin ha avuto a sua disposizione, soprattutto grazie al viaggio intorno al mondo sul brigantino Beagle: fra questi un organismo i cui elementi si biforcano come rametti: l’alga Bossea orbignyana, la quale calcifica mediante le sue secrezioni come i coralli e la cui classificazione oscillò per lungo tempo, appunto, fra corallo e alga. Bredekamp afferma che “il valore della visualizzazione naturalistica è spesso determinato, più che dalla competenza manuale dell’esecutore, dalla sua capacità evocativa sui processi mentali”. E il saggio, costruito dallo storico dell’arte, nasce da un’attenzione portata “al marginale e al latente, lungo una linea che precorre la moderna psicanalisi e che ha trovato nella criminologia del XIX secolo il suo parallelo più stretto”. Rimandiamo per un approfondimento al saggio di Ginzburg su Morelli nel libro ”Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia”, Einaudi, 1986, nel quale si parla del metodo di ricerca indiziaria applicato alle opere d’arte.
Con una collezione di tavole che coinvolgono anche immagini medioevali, e che funzionano da atlante di warburgheriana memoria, Bredekamp ci mostra come Darwin facesse costantemente uso di metafore visive  e verbali per condensare le sue idee: “Gli esseri organizzati rappresentano un albero. Ramificati in modo irregolare, alcuni rami molto più ramificati”. L’uso di linee punteggiate derivava dai grafici di Lamark e insieme ai rametti furono il mezzo grafico che Darwin utilizzò per la rappresentazione delle sue riflessioni. Per la prima volta, l’evoluzione naturale possedeva una forma visiva e, diversamente dai tradizionali modelli dell’albero della vita e dell’albero della natura,  essi non rappresentavano un progetto dato, ma un processo che si sviluppa nel tempo. Vitaliano Donati aveva previsto come alternativa alle rappresentazioni a scala e ad albero, il modello della rete. Darwin privilegiò il corallo come modello, “poiché questo con i suoi tronchi atrofizzati, che potevano essere considerati come fossili delle specie estinte, e le sue ramificazioni divergenti, poteva offrire una immagine più adeguata” del modello ad albero di Lamark; le sue ramificazioni, inoltre, proliferavano non solo verso l’alto, ma in tutte le direzioni. Inoltre, la struttura del corallo corrispondeva anche alla “doppia definizione darwiniana di legge e caso, le opposte forze che il naturalista inglese vedeva agire nell’infinito riprodursi di completezza e suddivisione delle forme”.

Bredekamp racconta il dibattito infuocato che s’incentrò sulla lotta ingaggiata in quegli anni fra gli scienziati contro i tentativi di ingabbiare gli ordini naturali in metafore quali la catena, il cerchio, la rete, e che vide in Hugh E. Strickland il più agguerrito assertore per la difesa della varietà presente in natura.  “Questa varietà naturale, opposta a tutte le leggi dell’arte, si ritrova nella tradizione della Analysis of Beauty (1753) di William Hogarth”, il quale aveva fatto dell’infinita molteplicità di forme l’insegna concettuale di una battagli anticlassica. L’accurata disamina del dibattito attraverso le immagini mostra quanto proprio intorno a esse si sferrasse la battaglia più importante: schemi e disegni che nell’arco di dieci anni vennero assumendo forme sempre più complesse in relazione alle varianti della teoria evoluzionistica. 

Bredekamp mette in evidenza come la figura non sia un derivato o un’illustrazione, ma il supporto attivo del processo di pensiero, in cui “il concetto non si potrebbe cogliere senza l’immagine, e il commento all’immagine permette una precisione analitica che la materia prima naturale, nella sua incontenibile varietà non consente”.
Lo storico dell’arte, percorrendo la storia della scienza fino ai nostri giorni, indica la storia dell’arte e la biologia come le due scienze che nel corso dei secoli si sono sistematicamente avvicinate. “L’essere umano vive attraverso immagini che rappresentano sfere diverse da quelle del linguaggio” racchiudendo pensieri in cui i confini del linguaggio discorsivo misurano la loro portata: problema centrale per una teoria critica della conoscenza.

                                                                     Rosa Pierno

Nessun commento:

Posta un commento